sabato 3 luglio 2010

Ogni tanto vorrei che il parkour fosse come il rap

  • Ogni tanto vorrei che il parkour fosse come il rap, vorrei che mi permettesse di esprimere chiaramente e direttamente i contenuti che mi stanno a cuore. Mi piacerebbe inserire nella mia tracciata un paio di rime sugli abusi dei preti o sul sessimo in televisione o sul razzismo della Lega. Vorrei che il mio parkour fosse riconosciuto "conscious" e che chiunque mi ascolti ed abbia voglia di capire, possa farlo, leggendo nero su bianco ciò che penso. Purtroppo il parkour non è questo, anzi. Trovo che la più vera espressione del parkour sia nell'intimità, quando mi muovo attraverso uno spazio proibito, da solo, la sera. Capite bene che 'sta roba non si presta molto nè a farsi strumento di comunicazione nè ad essere ripreso e condiviso. E' da viversi nel presente e basta, è estremamente impermanente.
  • Nei giorni scorsi un ragazzino è morto, è caduto dal tetto di una scuola; la cosa mi riempie di amarezza. Non ho assistito al linciaggio mediatico che si è consumato ai danni della mia disciplina, ho voltato lo sguardo, non ho avuto lo stomaco di ascoltare. Oggi, a distanza di qualche giorno, assisto alla reazione della "comunità di parkour di faccialibro". Io stesso non ho resistito a pubblicare il mio sfogo personale, insieme a decine di altri traceur e non. La cosa che mi ha indispettito è l'aver assistito alla nascita improvvisa di "eroi e paladini", protettori della sacra profondità dei valori del parkour. Sembra che di certi aspetti della disiplina ci si ricordi solo quando fa comodo.


Ora, che cosa c'entra la prima parte con la seconda, vi starete chiedendo.. Bene, eccovi accontentati. Dal momento che il parkour non è come il rap, per noi la veicolazione di un significato è una faccenda molto più delicata, fatta di immagini, parole ed azioni. Quello che dobbiamo fare tutti (prima di scrivere un bel pensierino su facebook) è sforzarci di produrre senso coerente, che sia su un blog o in un video, in una palestra o ad un allenamento. I valori vanno prima di tutto capiti, poi sentiti e poi veicolati. Non si può dire tutto e fare il contrario di tutto, nemmeno in questa italietta berlusconiana. I giornalisti spesso sono pressapochisti, ma molte volte li si lascia fare. Non possiamo permettere che una voce parli di essenzialità mentre si guarda un flip, altrimenti poi quando si parla di autodisciplina e ricerca prudente e costante, la gente starà ad aspettare il prossimo trick, fregandosene del resto. Tutto ci torna addosso, se le immagini di un video sono incoerenti con le parole della voce narrante, è esattamente come quando alle parole non si fanno seguire i fatti. A lungo andare si perde credibilità. Poi, quando la frittata è fatta, pestare i piedi serve a poco.