domenica 8 settembre 2013

Foglio Spiralstone


Ecco la versione digitale del foglio consegnato a tutti i partecipanti all'evento SpiralStone, tenutosi a Valbondione il 29-30 Giugno 2013. Posto qui per chi non avesse partecipato, ed in generale come memoria. Credo che chi ha avuto la possibilità di partecipare all'evento abbia potuto sentire le cose che abbiamo scritto (e molte altre, più nascoste) sulla pelle. Alla ricerca del miglior Parkour possibile..





CHI SIAMO:
ParkourWave è nato come un piccolo gruppo di praticanti italiani che decide di insegnare e tramandare il parkour cosi come lo hanno appreso, allenato e amato, nel solco dei fondatori francesi e della prima generazione di Lisses. Fin da 02subito decidono di affrontare internamente ed esternamente la formazione e l'acquisizione di competenze per affrontare con la migliore qualità questa attività. Diventa una associazione sportiva nel 2012 e tramite i corsi e workshop conta circa 150 soci nel nord italia. Oltre al parkour punta fin da subito sul metodo JungleWave, una fusione tra il sistema parkour e il Metodo Hebertiano, con cui arrichisce la sua proposta formativa.

COS'E' IL PARKOUR PER NOI:
Parkour è un metodo di allenamento, una disciplina sportiva che attraverso lo spostamento nell'ambiente prepara fisicamente e mentalmente il praticante. Ricerca il confronto profondo tra se stessi e l'ambiente circostante, svelando i propri limiti e mettendoci nelle condizioni di affrontarli e superarli. Come ogni percorso il parkour è esplorazione di se stessi e dei luoghi che si affrontano, una ricerca costante di miglioramento e di libertà di muoversi senza limitazioni. Regala una costante ricerca di avventura senza allontanarsi da casa, pur preparandoci ad esplorazioni anche in terreno sconosciuto e non civilizzato. E' una via di crescita senza scuse e senza giustificazioni dove ognuno puo' trovare il suo motivo per praticare, alla ricerca di una migliore armonia corpo-mente, liberandosi di eccesso di razionalità e paure e ritrovando un po' di spirito selvaggio e cuore forte.

LE COMPETIZIONI:
In Italia e nel mondo le discussioni aperte sul tema della competizione nel parkour sono molte e controverse. Troppo spesso viene affrontato questo tema con leggerezza o in maniera confusa. Non solo è delicato ma qualunque discussione si intraprenda a riguardo avviene nel caos dei media e dei social network. 
Noi crediamo che l'introduzione nel mondo del parkour di eventi competitivi come gare o contest possa portare più male che bene.
Forse per chi ha cominciato a praticare da poco è difficile vedere questo problema, abituati come siamo al moderno concetto di sport, legato a doppiofilo alla competizione e alla "gara". Tuttavia chi si avvicina al parkour ne apprezza il fine che si pone: il benessere psicofisico del praticante; la riscoperta di valori forti come la forza di volontà, il coraggio, il rispetto per se stessi e per gli altri, l’autocontrollo, l’umiltà e la capacità di autocritica. Ognuno concorre alla realizzazione di obiettivi strettamente intimi e personali. Ogni singolo individuo cerca di affermare la sua irripetibilità come praticante, di plasmarsi e prendere forma, per essere il meglio di ciò che lui stesso può essere. 
Le competizioni di parkour non sono nate perchè i praticanti le hanno organizzate, dal basso; sono state calate dall'alto da parte di grandi sponsor, con il fine di farsi pubblicità.
Abbiamo assistito all'organizzazione del redbuM art of motion, del barcOLcard world freerun championships, dell'EmPtYv ultimate parkour challenge. I grandi finanziatori hanno rovesciato soldi su società che organizzano eventi, queste hanno pagato pochi spiccioli a una manciata di validi (sprovveduti? venduti?) atleti che i media hanno letteralmente sbranato. Qualcuno osa dire che la sponsorizzazione ha portato qualche beneficio alla disciplina? Qual è stato il fine di tali manifestazioni? chi ne ha beneficiato? e chi ci ha rimesso?
I contest che sono ora organizzati "dal basso" (in realtà sarebbe meglio dire "dal mezzo") sono solo delle imitazioni delle grandi manifestazioni, con lo scopo, il più delle volte, di attirare i soldi dei grandi sponsor. Ingolosiscono con premi in denaro, promettono grande visibilità e gli sponsor le alimentano. Chi vi partecipa per quale motivo lo fa? per il piacere della condivisione? per migliorare? se così fosse perché non si ragiona su quali sono le forme più efficienti per il raggiungimento di questi obiettivi? e perchè non si ragiona dall'esterno, dal punto di vista degli spettatori? loro cosa ci guadagnano dall'essere testimoni passivi di evoluzioni ultraumane? e cosa perdono?
Queste gare finiscono per premiare la spettacolarizzazione e l'esibizionismo. I media sono attratti dal grande potenziale visivo e a loro volta alimentano questi eventi. Ma lo spingere il proprio limite pressati dalla telecamera, dallo speaker o dagli spettatori non è una qualità di rischio decisamente diversa da quella che tutti noi praticanti conosciamo? Sarà un caso che molti dei peggiori infortuni si sono verificati proprio nella cornice di questi eventi? quanti anni dovranno passare prima che si accumulino dati sufficienti a dimostrare quanto i tassi e la gravità degli infortuni cambiano passando dalla "pratica del parkour" alla "gara di parkour"?
Sostituire il fine della pratica cambia forzatamente il mezzo utilizzato, cioè l'allenamento. Se il salto più spettacolare vince, mi allenerò sui tappeti elastici, ripetendo il salto triplo fino a che il corpo non lo assorbe. Ma il parkour senza il buio, la pioggia, la polvere, il duro e lo scivoloso.. questo parkour sarà ancora la disciplina che vorremo praticare? Non vorremo tornare a rompere un salto protetti soltanto dalla nostra preparazione e saggezza?
È vero che la competizione non è un male assoluto. Nello sport è spesso una forza positiva, se debitamente canalizzata. Negli allenamenti di parkour è un'energia grezza che può essere utilizzata - soprattutto all'inizio e con grande cautela - per smuovere le acque, per riportare alla luce il proprio spirito guerriero o istinto animale. Ma quando una pratica viene distorta per essere inserita a forza in una cornice competitiva al solo scopo di arricchire chi organizza o trasmette tali eventi, allora non c'è compromesso.
Crediamo che al momento la nostra disciplina sia ancora troppo giovane. La didattica e la formazione sono ancora in via di sviluppo e ci sono diversi fraintendimenti anche tra i praticanti stessi. La diffusione di gare e contest rischia di compromettere, agli occhi di tanti potenziali praticanti, la visione del parkour e dei suoi potenziali benefici. Pertanto riteniamo che qualunque apertura alla competizione organizzata sia prematura e rischiosa.

SUPER NATURAL TRAINING (SNT):
Fino ad ora abbiamo approfondito quali aspetti negativi traspaiono dalle gare. Se queste ultime, però, hanno mantenuto un così grande impatto sulle persone è evidente che al loro interno mantengono anche delle tematiche costruttive: due sono quelle che abbiamo individuato. La prima è che la prospettiva della gara mantiene alta la motivazione dell'atleta, il quale vede in essa un fine, un obiettivo per il suo allenamento. La seconda è che tramite questi eventi viene innalzato il livello della singola specialità sportiva, permettendo ai partecipanti di confrontarsi con gli altri, prendere coscienza del loro livello ed essere spronati a dare il meglio. 
Non volendo ricadere in una spirale di critiche sterili, abbiamo pensato ad una soluzione che possa conciliare la tensione dell'uomo a misurarsi, senza lasciare che l'agonismo e i ricchi investitori snaturino la nostra disciplina. 
L'idea del Super Natural Training, non certo rivoluzionaria nel contenuto, è di suggerire periodicamente sfide di condizionamento o tecnica. Il concetto di sfida, infatti, si presta a mantenere viva la motivazione dei praticanti. Al contempo, la condivisione degli stessi obiettivi offre l'opportunità per faticare insieme e confrontarsi, lasciando la possibilità a chiunque di affrontare l'allenamento dando il proprio massimo, qualunque esso sia.
Questo progetto nasce soprattutto per garantire allenamenti collettivi tra le varie sedi di Parkourwave, penalizzate dalla distanza geografica. I Super Allenamenti Naturali rappresenteranno per noi Wavers, e per chiunque voglia, un metodo per condividere prove impegnative e cercare di muoverci verso un miglioramento comune.
Riusciremo a dimostrare che la sola pratica, la tensione all'automiglioramento e all'esplorazione dei propri limiti sono motivi sufficienti per aggregare una comunità e per mantenere viva la motivazione? E a dimostrare che essere forti significa anche guardare lontano e non accettare proprio tutte le condizioni che il sistema sociale, politico ed economico in cui siamo immersi tende ad imporci?

Perseverare come onde nella pratica e nella divulgazione della disciplina in tutti i suoi aspetti, anche quelli nascosti.

venerdì 17 maggio 2013

Sulla competizione, di getto..

Negli ultimi dieci anni tante bocche hanno succhiato dal guscio del parkour la polpa che nascondeva. Anche io ho contribuito a succhiare, non posso e non voglio elevarmi a giudice senza macchia: da quando ho cominciato ad insegnare ho accettato diversi compromessi, il più grande dei quali quello di insegnare in cambio di denaro. Non ho però accettato qualsiasi compromesso che mi sia stato proposto, almeno questo va riconosciuto.

Non sono tanti gli elementi davvero rivoluzionari del parkour: la profondità con cui certi praticanti vi si approcciano non è una caratteristica tipica della disciplina, che ne definisce la natura. Si può torvare lo stesso trasporto in un alpinista, in un centometrista o in un cuoco (già lo dissi una volta). Quindi, cosa davvero lo definisce? Cosa lo rende unico?

Lo definisce il fatto di essere un sistema di allenamento basato sull'interazione con l'ambiente in tutte le sue forme, mirato al miglioramento (attraverso la "sfida") della propria capacità di muoversi, nel senso più ampio e profondo del termine. Questo aspetto libero e selvaggio, sebbene naturalmente intriso di quell'autodisciplina cui ogni animale delega la sua sopravvivenza, è ciò che caratterizza il parkour.
Volete utilizzare questa definizione per asserire il vostro diritto a fare quello che vi piace perchè "il parkour è libertà"? Fatelo, ci perdete voi a non scendere più giù di così..

A renderlo raro, invece, è la sua storia. Nato come una pratica mistica al di fuori del mercato, ha resistito trent'anni accusando solo alcuni colpi e mantenendo intatto quello che qualcuno chiamava "lo spirito del parkour". Ora invece barcolla: competizione dopo competizione, brand dopo brand.

Che il nostro sistema di valori stia crollando non è una novità, un amico lo ha scritto molto chiaramente l'anno scorso. Il parkour sta vivendo una situazione molto simile a quella del freeclimbing negli anni ottanta. Alimentata negli anni sessanta da un gruppo di praticanti che conducevano uno stile di vita hippy, allenandosi duramente e confrontandosi solamente con la roccia, l'arrampicata libera venne successivamente veicolata verso le grandi competizioni internazionali, privilegiando il rapporto agonistico e la competizione tra le persone invece che il viaggio della sfida per la conquista della vetta. Ad oggi sia le competizioni di arrampicata libera sia il "freeclimbing mistico" convivono.

Quindi: volete fare le vostre gare di parkour? Fate pure, non posso impedirlo. Sembra che nemmeno tutti gli spiriti forti possano o vogliano più proteggersi dalle competizioni e questo mi amareggia moltissimo.
Io però rimarrò all'opposizione insieme a tanti altri praticanti, più di quanti se ne vedono su youtube. Il tentativo è quello di conservare gli aspetti davvero rivoluzionari di questa pratica, senza i quali il parkour non è diverso da uno sport freestyle. 
Riusciremo a dimostrare che il parkour e i suoi praticanti sono un'eccezione in questo mondo di sport postmoderni? E a dimostrare che la sola pratica, la tensione all'automiglioramento e all'esplorazione dei propri limiti sono motivi sufficienti per aggregare una comunità e per mantenere viva la motivazione? E, infine, a dimostrare che essere forti significa anche guardare lontano e non accettare proprio tutte le condizioni che il sistema sociale, politico ed economico in cui siamo immersi tende ad imporci?

Perseverare come onde nella pratica e nella divulgazione della disciplina in tutti i suoi aspetti, anche quelli nascosti.




PS: Non per appellarmi alle norme (quello che conta è la sostanza), tuttavia alcuni anni fa è stata accettata a larga maggioranza in seno a UISP una definizione di parkour che riporto qui sotto, per chi l'avesse dmenticata o non la conoscesse.. 


  • Il Parkour / Freerunning / Art du Deplacement è una disciplina fisica non competitiva il cui obiettivo è di rendere il praticante in grado di muoversi liberamente attraverso e oltre qualsiasi tipo di terreno utilizzando a tale scopo solo le capacità del proprio corpo, principalmente attraverso la corsa, i salti, l’arrampicata e i movimenti in quadrupedia. Di fatto si concentra sullo sviluppo degli attributi fondamentali necessari per tali movimenti, tra essi forza funzionale e resistenza, equilibrio, propriocezione, agilità, coordinazione, precisione controllo e creatività.
  • È uno sport che incoraggia l’auto-miglioramento su tutti i livelli, rivelando i limiti mentali e fisici di ciascuno e simultaneamente offrendo un modo per superarli. È un sistema per allenare la mente e il corpo al fine di essere il più possibile funzionali, efficaci e liberi in ogni ambiente.
  • Questo sport mira a promuovere sicurezza, determinazione, auto-disciplina e auto-stima, e l’assunzione di responsabilità delle proprie azioni. Incoraggia l’umiltà, il rispetto per se stessi, per gli altri e per l’ambiente che ci circonda, l’espressività, lo spirito di comunità e l’importanza del gioco, della scoperta e della sicurezza.