Nota iniziale: periodaccio per la comunità di ADD/Parkour/Freerun, eh? Il clima sembra un po' avvelenato. Ma proviamo a riportare la discussione sulla pratica e sull'insegnamento, piuttosto che lasciarla vagare sulla filosofia politica. Si, lo so.. pubblicare qualcosa di questo tipo equivale a immergere le chiappe in una vasca di piranha, ma questi appunti stanno nel mio drive da alcuni anni, è il caso di sbarazzarsene.. :)
Appunti
per un sistema di trasmissione del Parkour Parte 1/3
Un Maestro di Aikido mi ha detto, una volta, che è molto difficile
ricordarsi tutte le tecniche stipate nei kata. Risulta quindi quasi impossibile
rispondere ad un attacco con la tecnica che sarebbe formalmente più corretta.
Dall’imbarazzo ci si salva con i principi.
Conoscere bene i principi base dell’Aikido permette di applicare una
tecnica appropriata, scelta attraverso un “ragionamento” piuttosto che dettata
da un rapporto univoco memorizzato in precedenza. Nella pratica del parkour
questo problema non si pone: le tecniche tra cui scegliere sono poche.
Le cose cambiano se ci spostiamo nell’ambito del suo insegnamento. Un coach
è chiamato a rispondere alle esigenze (in realtà ad anticiparle) dei discenti
con esercizi specifici. Allora si che sarà difficile avere un esercizio
codificato per sottolineare l’importanza di ogni dettaglio della disciplina. Un
elenco potrebbe essere fatto, si. E credo che ogni coach abbia, nella sua
agenda, un elenco di esercizi frutto degli anni di esperienza da studente e da
insegnante. Ma ben più arduo sarebbe fare un elenco di tutti i dettagli che
contano. Effettivamente ci ho provato numerose volte, e il risultato non mi ha
mai soddisfatto pienamente.
Dunque, forse, è più utile iniziare un processo di sintesi piuttosto che
procedere con un lavoro compilativo che, per la natura stessa del parkour,
rimarrebbe eternamente incompleto.
La domanda cui cerco risposta è questa: come si agevola lo sviluppo di
quell’amalgama di sensazioni, abilità, competenze e adattamenti che rendono una
persona un praticante di parkour, nel senso più completo del termine?
A questo punto, per semplicità, dividerò due categorie: il Come dal Cosa.
Del Come fa parte tutta la questione del metodo di insegmaneto; il Cosa
riguarda più il “programma”, le materie trattate. Lungi da me l’idea che una
separazione netta possa essere operata tra queste due categorie, ma per
affrontare problemi complessi bisogna provare a scomporli in problemi più
semplici.
1. Il problema del Cosa
Se un insegnante non può insegnare tutte le materie,
perché gli studenti devono studiarle tutte? (Anonimo)
La mia mente funziona per immagini e così, negli anni, ho sempre preferito
disegnare dei grafici, prima di scrivere. Penso che l’immagine renda in maniera
molto più immediata lo sviluppo delle relazioni tra i concetti.
Uso la ormai arcinota metafora dell’iceberg: fuori dall’acqua si vede solo
una piccola parte, il resto è nascosto sotto. Nel Parkour la parte scoperta è
quella percepibile in qualsiasi video sulla rete. Il fatto che sia visibile e
nota non deve portarci a pensare che sia poco importante, tuttavia non dobbiamo
nemmeno pensare che sia tutto lì.
La parte visibile
Della parte “visibile” fanno parte i Trucchi, le Tecniche e gli Attributi.
Quelli che ho chiamato Trucchi altro non sono che dettagli utili che
l’esperienza fa emergere o il passaparola diffonde (ad esempio l’uso della
gamba nel climbup, i piccoli movimenti dei piedi nel salto di precisione,
l’inclinazione del bacino nel volo dopo uno swing).
Le Tecniche sono l’insieme più o meno codificato dei movimenti propri di
noi esseri umani. Possono essere organizzate gerarchicamente in insiemi via via
più specifici; c’è chi sostiene che non si possa davvero isolare una tecnica da
un’altra; c’è chi è legato ad una forma di nomenclatura piuttosto che ad un
altra. Il “problema” della sistematica delle tecniche del Parkour mi pare
ricalcare il problema della sistematica degli esseri viventi. E da lì mi giunge
un aiuto: la sistematica è un costrutto, rende conto di differenze naturali che
occorrono nella maggior parte dei casi ma non è un ente reale, solo utile.
Stesso vale per il Parkour: dividere, organizzare e dare nomi va bene perchè è
utile a noi, basta che non ci dimentichiamo che la mappa non è, per quanto
precisa, reale; solo il territorio lo è. In futuro assisteremo sicuramente ad
una trattazione via via più specifica della biomeccanica specifica dei
movimenti del parkour, è inevitabile (e anche positivo). Questo approccio
biomeccanico chiarirà ulteriormente la corretta esecuzione di una tecnica e ne
svelerà i trucchi.
Per quanto riguarda gli Attributi.. qui, per riprendere la metafora
dell’iceberg, comincia a salire l’acqua. Spesso sono parzialmente sommersi
semplicemente perchè è più ostico notarli. Gli attributi descrivono e connotano
un movimento o un praticante. Alcuni esempi sono la rapidità, il silenzio, la
potenza, la prontezza, la consistenza, la coordinazione, l’eleganza. Tra questi
annovero anche resistenza e resilienza. L’elenco è volutamente parziale, ogni
praticante potrà compilare l’elenco che risponde meglio alle sue necessità o
osservazioni.
Allenare, sviluppare, insegnare queste “aree emerse” non è facile, ma tanto
è stato già scritto nelle scienze motorie (e tanto ancora sarà scritto in
futuro da specialisti che arriveranno). Mi preme solo di sottolineare la
maggiore importanza degli attributi sulle tecniche e di queste ultime sui trucchi.
Rapido ma transitorio è l’apprendimento di chi inverte questa gerarchia,
andando a scovare subito i trucchi per portare a termine un problema. Credo
l’abbia detto Yoda.
La parte non visibile
La parte non visibile giace sotto la piramide emersa. Qui si annidano gli
elementi che rendono giustamente il parkour una disciplina a sè, non
ascrivibile ad una bastardizzazione della ginnastica artistica. Il tentativo di
sintesi è avvenuto soprattutto a questo livello: quali caratteristiche sono
irrinunciabili, pena la perdita di una parte caratterizzante il parkour? E
quali concetti, invece, sono riconducibili a principi più generali e quindi non
necessitano di tanta attenzione? Ovviamente la scelta è ardua, soggettiva e
temporanea. E lo dico sul serio! Andando a riguardare gli appunti presi negli
anni noto tanti concetti ricorrenti, ma quanto alla loro organizzazione... solo
confusiuone.
Il mio punto di partenza sono stati “i tre pilastri” del parkour, così come
sono stati identificati da alcuni esperti praticanti intorno al 2010. La
Forza, il Tocco e lo Spirito sono tre vasti insiemi che dovrebbero
racchiudere tutti i concetti cari alla disciplina.
Sarà dovuto all’eleganza del ragionamento o alla forza inconscia del
simbolo, ma la concettualizzazione in 3 insiemi intersecanti ricorre. Nelle
scienze motorie i tre insiemi delle qualità di un atleta: qualità condizionali,
coordinative e psicologiche. Nel Judo shin (lo spirito), gi (la tecnica) e tai
(il corpo). E la lista delle ricorrenze potrebbe continuare, interessante.. Ma
torniamo a noi.
La Forza comprende due concetti importanti: la Forza Fisica (intesa
come insieme delle qualità condizionali) necessaria per sostenere la
performance e la Forza Mentale necessaria per affrontare ogni
allenamento (solo?) diligentemente.
Il Tocco indica la sensibilità al movimento (intesa come insieme delle
qualità coordinative), entrano in questo insieme concetti fondamentali come il Flow
(uso efficace dei gruppi muscolari, economia del movimento) e l’Armonia
(precezione intuitiva di quando un movimento o
un gruppo di movimenti sono “giusti” o “sbagliati” rispetto ad altri movimenti
o all’ambiente).
Nello Spirito si collocano le qualità psicologiche che la pratica del
parkour dovrebbe aiutare a costruire come il Focus, la Determinazione
e l’Umiltà.
La mia sintesi ha arbitrariamente postulato un' assioma nell’intersezione
centrale dei tre cerchi e ha poi identificato 3 principi cardine nelle tre
intersezioni periferiche. Questi quattro concetti dovrebbero servire da anello
di congiunzione tra il cosa ed il come, ma anche tra i 3 cerchi ed il
triangolo. Sono i princìpi che dovrebbero ricapitolare tutte le cose importanti
da fare.
L’assioma dell’Aretè
Assioma perchè è il punto di partenza non negoziabile, va accettato o
rifiutato, non si può dimostrarne la bontà. Cos’è l’Aretè lo lascio dire ad un
tale di nome Kitto, mi pare fosse uno professore di letteratura greca classica.
La citazione viene dallo splendido libro “Lo zen e l’arte della manutenzione
della motocicletta” di Pirsig.
“What moves the Greek
warrior to deeds of heroism,” Kitto comments, “is not a sense of duty as we
understand it... duty towards others: it is rather duty towards himself. He
strives after that which we translate “virtue” but is in Greek areté,
“excellence” - we shall have much to say about areté. It runs through
Greek life.” [...]
Kitto had more to say
about this areté of the ancient Greeks. “When we meet areté in
Plato,” he said, “we translate it “virtue” and consequently miss all the
flavour of it. “Virtue”, at least in modern English, is almost entirely a moral
word; areté, on the other hand, is used indifferently in all the categories,
and simply means excellence.
Thus the hero of the
Odyssey is a great fighter, a wily schemer, a ready speaker, a man of stout
heart and broad wisdom who knows that he must endure without too much
complaining what the gods send; and he can both build and sail a boat, drive a
furrow as straight as anyone, beat a young braggart at throwing the discus,
challenge the Pheacian youth at boxing, wrestling or running; flay, skin, cut
up and cook an ox, and be moved to tears by a song. He is in fact an excellent
all-rounder; he has surpassing areté.
Areté implies a respect for
the wholeness or oneness of life, and a consequent dislike of specialization.
It implies a contempt for efficiency... or rather a much higher idea of
efficiency, an efficiency which exists not in one department of life but in
life itself.”
Il principio della Sfida
In principio c’era un gioco, e il gioco era una sfida.
Questo principio suggerisce al praticante l’utilizzo
della sfida, appunto, come strumento per la crescita. Attraverso la sfida si
riflette sui propri limiti, sulla sincerità, sull’autodisciplina, sulla
generosità, sulla cooperazione. Attraverso la Sfida si può forgiare la propria
Armatura Corporea. Il praticante si tempra con la Sfida, che è più un Come che
un Cosa.
Il principio dell’Esplorazione
Esplorare significa ascoltare la propria curiosità,
attraversare l’ambiente e scoprirlo, esporsi all’incertezza, avere la forza di
fare ciò che vogliamo, ignorando le costrizioni sociali. Dall’esplorazione
sboccia la creatività vera, che non è imitazione ma libertà di pensiero fuori
dai vincoli: si può esplorare il fuori e anche il dentro, si possono
sperimentare tutti i modi di muovere il proprio corpo. Anche la Visione
Laterale si sviluppa con l’esplorazione in tutte le sue forme. L’esplorazione
stimola a continuare la ricerca.
Il principio dell’Adattabilità
L’adattabilità è un grande contenitore, elastico.
Dentro si trova il concetto della Parkour Defence (le tecniche di recupero da
un errore), ma anche la constatazione che le tecniche vanno adattate al
contesto, rese morbide: la natura è maestra qui.
Ma c’è anche un altro tipo di adattabilità, che è
quella alle circostanze esterne più generali, ai vincoli. Essere in grado di
rinunciare ai comfort (necessità?), essere efficaci anche sotto la pioggia o
con le “scarpe sbagliate”, poter fare a meno delle cose che ci legano.
5 commenti:
Bellissima lettura, Grazie. Gran bella domanda a fine, difficile anche solo provare a rispondere... Sarà personale oggetto di riflessione per il prossimo futuro...
Bella ricetta, non vedo l'ora di vedere che piatto sfornano gli chef. Mentre aspetto mi godo gli ingredienti che assaporati singolarmente non sono niente male. Chissà poi che questi chef non possano essere gli studenti stessi piuttosto che i coach. X ingredienti per XXX combinazioni di piatti diversi. Non voglio dilungarmi altrimenti finisce in filosofia politica che a me piace un sacco :)
:)
Molto bello, condivido in pieno.
Ho quasi la sensazione però che il fattore tempo sia quasi nascosto, forse è rinchiuso in "forza mentale"?
Intendo il tempo come un fattore lontano da tutti gli aspetti legati ad un singolo allenamento: con la giusta componente sociale e ambientale, anche un allenamento con il diluvio può diventare divertente. Ma riuscirei a fare dieci allenamenti di fila sotto il diluvio, da solo?
Il farlo perchè ci credo (e quindi farlo sempre), o il farlo perchè quella volta mi gira (anche se faccio una pratica impeccabile, in quel dato momento) equivale secondo me alla differenza fra fare o non fare, e quindi arriva a toccare il "cosa".
Nel saggio "Coraggio" di Diego Fusaro,c'è una citazione di Pietro Abelardo: "Mi sembra che la fortezza si articoli in due parti: la grandezza d'animo e la perseveranza. La prima è quella parte di fortezza per cui, quando c'è una ragionevole causa alla base, siamo preparati ad affrontare tutte le situazioni, anche quelle difficili. La seconda consiste in ciò per cui ci manteniamo costantemente nel disegno che abbiamo intrapreso"
Si arriva quindi a sostenere che la virtù del coraggio si debba legare a quella della "fedeltà": l'atto coraggioso va rinnovato, essere stati coraggiosi in passato non significa che si è coraggiosi nel presente e che si sarà coraggiosi in futuro. (per ritoccare a tema una frase che ci sta molto a cuore, "once is never, only ever is" forse?)
Maledetta parte invisibile..
Minchia Rosso, bella la tua citazione.. ti ci vedo proprio dentro! Grazie per gli spunti sul tempo, mancavano!
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