giovedì 30 dicembre 2010

Sweet'n'sour

- Ogni tanto anche il "bisogno" di dimostrarsi qualcosa si può lasciare a casa -, sempre che il più delle volte ce lo si porti dietro e si sappia come sfruttarlo a proprio vantaggio. In tha pagliaccio è stato un giochino, una serata libera, l'allenamento è ben altro.

Sweet'n'sour (agrodolce) sintetizza un po' l'emozione di un allenamento duro, la dolcezza del sentirsi in pace, di essere totalmente presenti e l'asprezza della fatica, delle nuove ferite che ci stiamo facendo. In un buon allenamento bisogna porsi un obiettivo, calcolando di spingere il limite un po' più in là dell'allenamento precedente; la disciplina ci permette di spremere corpo e mente per superare un nuovo traguardo. D'altra parte il Parkour senza il condizionamento - mentale e fisico - non sarebbe il Parkour.

Nello specifico. Il movimento in questione, un salto di braccia su una colonna, è stato "sbloccato" solo il giorno prima che venisse girato il video. Ho pensato che ripetere un movimento appena aperto che richiedesse circa l'80% delle mie capacità sarebbe stato una bella prova: oltre a sottoporre il corpo ad un forte stress, avrebbe richiesto una dose di concentrazione molto alta e costante. Ho deciso di farne solo 100 perchè sapevo che avrei subito considerevoli impatti, soprattutto alle articolazioni delle braccia.
 

Risultato: ho portato a termine le mie 100 ripetizioni in 50 minuti, affrontandole a blocchi di 5 (più o meno). L'aspetto limitante, come avevo immaginato, è stato l'infiammazione dei tendini, soprattutto dei gomiti: il rapido bloccaggio necessario a rimanere attaccati alla colonna è tremendo e ripeterlo 100 volte consuma. Intorno alla settantesima ho cominciato ad accusare, e ho dovuto prolungare un po' i tempi di recupero. Per quel che vale penso che i muscoli e la testa avrebbero retto altre 200 ripetizioni. Tornato a casa mi sono spalmato un po' di capidol e mi sono bevuto un paio di medie di pozione equiseto; dopo un paio di giorni di riposo gomiti e spalle sono pronti per il prossimo allenamento.

martedì 7 dicembre 2010

In tha Pagliaccio

Ogni tanto anche il "bisogno" di dimostrarsi qualcosa si può lasciare a casa. Si può uscire, la notte fredda e bagnata, e improvvisare, lavorare sulla percezione, godere della situazione, derivare psicogeograficamente. E così niente virtuosismi, sequenze sporche ed improvvisate, spot nuovi nuovissimi, nel "mio" nuovo quartiere. Quest'uscita è stata un po' come la prima strusciata sul nuovo albero, sto segnando il mio nuovo territorio di allenamento :)
Per quanto riguarda la musica: l'idea originale era senza audio, solo che era troppo noioso e ho optato per una versione più friendly. Il video è stato realizzato in una sera, un'oretta di esplorazione. Mai sottovalutare il freddo e l'umido, sotto le scarpe e sulle dita; rendono movimenti simili molto diversi.

venerdì 12 novembre 2010

Articolo per BergamoUP

Recentemente ho avuto modo di scrivere un piccolo articolo per la rivista BergamoUP. Se siete della provincia vi consiglio di prenderlo, le fotografie rendono. Altrimenti ecco per tutti gli interessati, la versione digitale (scaricabile qui).

giovedì 16 settembre 2010

Via un po' di sassi dalle scarpe..

  • Perchè sto attivando dei corsi, dopo che per anni ho criticato i corsi di parkour?
La scena del parkour in Italia esiste solo da 6 anni, da quando cioè, il primo workshop di parkour è stato fatto (2005, ). Da subito corsi di parkour sono sbucati in tutta Italia, alcuni addirittura rilasciavano certificati per l'insegnamento e altre patacche. Di fatto chi insegnava parkour aveva alle spalle si e no qualche anno di pratica e, ad andar bene, esperienze in altri campi. Al tempo nè David Belle nè gli Yamakasi si erano ancora espressi sull'insegnamento, e il metodo di allenamento era ancora poco conosciuto. Fino a qualche anno fa, quindi, ritenevo irresponsabili e fuori legittimità coloro che attivavano corsi di parkour. Ora che sono passati un po' di anni e alcune realtà sono cresciute, allenandosi fin da allora, le cose sono un po' diverse. Il parkour è entrato nei media e sempre più ragazzi ci si avvicinano, pericolosamente, da youtube. A questo punto credo che un corso di parkour, tenuto da un traceur esperto, sia il modo migliore (ma non l'unico possibile) per avvicinare un neofita a questa disciplina. Quindi ho deciso di attivare dei corsi per (1) trasmettere, ad un numero crescente di interessati, il parkour nella giusta maniera, cioè non attraverso immagini facilmente fuorvianti (come spiegato in altri post) ma tramite un rapporto personale (che è l'unico modo per trasmettere qualcosa che va al di là dei semplici movimenti) e (2) per provare a dare un'alternativa di qualità al dilagare di corsi di parkour tenuti da gente poco esperta.

  • Perchè ho voluto prendere l'ADPAT? e cosa ne penso delle certificazioni?
La voglia di prendere l'ADAPT ce l'ho avuta sin da quando, in Finlandia ad un meeting, ho appreso in anteprima della sua esistenza. Principalmente la spinta era personale, la voglia di mettersi alla prova e di vedere se i praticanti più esperti del mondo mi ritenevano capace (ok, psicanalizzatemi pure :P). Poi, durante gli anni di attesa e durante le settimane di esame, la mia idea è venuta evolvendosi e ho capito che era necessario un sistema per decidere se legittimare o meno una persona ad insegnare il parkour. Sarò anche ingenuo, ma non credo che dietro alla certificazione di Parkour UK ci sia chissà quale business.. è il tentativo di fare un po' di chiarezza, altrimenti succede come nel mondo delle arti marziali: ognuno apre la sua scuola, tutti litigano su chi insegna lo stile veroe gli studenti non hanno nessuna garanzia di imparare quello che vogliono imparare. Ad ogni buon conto, al momento, non ritengo che chi non sia in possesso di una certificazione non possa o non debba insegnare, certe realtà in Italia sono serie ed affidabili, è solo che non risultano distingubili da tutte le altre, e una rete di conoscenze fidate che si autolegittimano non mi sembra la strada milgiore: rimane un approccio autoreferenziale, locale e pericolosamente italiano.

  • Perchè lavorerò anche in palestra, dopo aver deciso di non allenarmici io stesso?
Il fatto che, come già scritto in un post precedente, io non abbia interesse ad allenarmi in palestra non significa che per me la palestra non va utilizzata (anni fa, comunque, la pensavo diversamente.. ero molto più intransigente su questo punto). Ho capito che della totalità delle persone che cominciano a praticare parkour, solo una minoranza arriveranno a capirlo a fondo e a praticarlo seriamente. Ancora, come nelle arti marziali, non tutti i bimbi che si iscrivono al corso di Judo affonteranno mai un incontro agonistico, ciò non toglie che tutti i bambini che praticano ottangano dei benefici personali. Ecco quindi che la palestra diventa uno strumento utile per avvicinare quanta più gente possibile dando a tutti loro la possibilità di scegliere se diventare dei traceur o se rimanere dei praticanti che si mantengono in forma o vogliono lavorare un po' sul loro equilibrio, per esempio.

  • Perchè ho fatto la scelta di fare lavori commerciali come show, pubblicità o gli stessi corsi a pagamento?
Eccoci al punto principale di tutta la questione.. è sempre una questione di soldi, alla fine, vero? Purtroppo, vedendo negli anni numerosi traceur smettere di praticare per impegni lavorativi, ho capito che l'unico modo per non smettere di allenarmi e non cominciare a considerare il parkour un hobby domenicale, era quello di far coincidere i miei impegni lavorativi con quelli parkouristici. Ed ecco che, dopo aver ricevuto l'ADAPT, ho innescato la catena di eventi che mi hanno portato a decidere di provare ad avere un ritorno economico che mi permettesse di continuare ad investirci tutto il tempo che avessi voluto, fermo restando la questione sulla deontologia professionale su cui mi sono già espresso in precedenza.



Dedicato ai miei più rigidi critici, il Viruz e la Lulu, e a tutti coloro che vanno a fondo se non vedono chiaro.

martedì 24 agosto 2010

Il giusto valore all'Estetica?

Ricordo con precisione che David Belle, in un'intervista (mi pare una nella trasferta a NY), sottolinea come lo "stile" di un movimento sia da mettere in secondo piano rispetto alla capacità di portare a termine un "problema"; cioè bisogna concentrarsi più sulle qualità fisiche che ci permettono di compiere uno o più movimenti grossi (esplosività, resistenza, focus, sicurezza ecc..) piuttosto che affinare la leggerezza, le coordinazione e la tecnica che ci permettono di mantenere un flow perfetto. Comprendo qual'è il punto di vista di David Belle, è mosso dall'utilitarismo puro: un pompiere che salta da un tetto e si salva la vita, 'fanculo al flow! Però..

Secondo me alcuni canoni estetici (si parla di estetica naturale) ci si sono impigliati nei geni, durante il lungo periodo in cui gli ominidi si sono evoluti potrebbe essersi fissato un senso estetico per i movimenti fatti bene, curati e sicuri. Il valore adattativo di questo senso estetico è presto detto: riconosco il bello in un movimento ben eseguito (leggi sicuro, silenzioso e efficiente), cerco di imitare il bello (leggi mi focalizzo sull'efficienza dei miei movimenti). Ovviamente è tutto un castello di carte, il mio.

Rimane il fatto che molti praticanti, come me, cercano nel parkour non solo un sistema integrato per superare gli ostacoli, ma una disciplina totale, che ci permetta di continuare a crescere, sempre. Ecco quindi che il "flow" acquista un posto importante nel mio parkour. Il valore dello "stile", che riconosciamo subito come estetico quando lo vediamo da fuori, è duplice quando lo analizziamo da dentro: è un buon modo per essere sempre focalizzati sul momento presente, sul movimento che si sta eseguendo e non su quello che ci aspetta tra pochi secondi, e un metro che ci permette di misurare quanto "possediamo il movimento".

Discipline is not so much about imposing something than focusing on what you do and try to give what you do some efficiency and style. So there's no like "I focus now because I'm training". Training is all the time and never ends, especially regarding the little details of life. If we take a seat, we try to be as silent and light as possible. If we open a door, same. We want to use a few energy as possible in the daily routine. We want to break the daily routine by being aware. That's discipline.

PS: Tra le due fotografie, quale movimento appaga maggiormente il vostro senso estetico? ;)

mercoledì 4 agosto 2010

Piccoli regali all'ego..

Lo so, lo so, ma ho una buona scusa. Il videino (una giornata tra riprese e montaggio) che ho prodotto è dedicato a tutti i bergamaschi che spingono qualcosa, che lo fanno da tempo e con fotta, perchè la nostra è una promessa reciproca: tu spingi la tua roba che noi spingiamo la nostra, e tutti insieme siamo orgogliosi e contenti. Forse dall'esterno sembrerà un po' strano, ma la scena underground bergamasca è, per quanto possibile, integrata e solidale. Bergamo è un buco, ci si conosce tutti e ci si spinge. Troppo tempo è passato dalle mie ultime produzioni video e troppa gente continua a chiedermi se ho in programma nuovi video. Io ho provato a spiegargli che meno mi vedono su internet e più mi sto allenando, ma loro rimangono un po' delusi. Ecco quindi un omaggio a tutti i bergamaschi che mi danno la fotta e una piccola concessione al mio ego :) 


Più nello specifico, sul video.. (sempre riferito a questa analisi)
Autosservazione: l'utilizzo di una camera soggettiva porta numerosi vantaggi.. piani sequenza lunghi, sensazione realistica, pochi tagli.. purtroppo diventa difficile apprezzare i movimenti, ecco perchè ho usato un effetto wide, anche se un po' distorcente, permette di vedere almeno un po' il footwork e le mani (comunque più che far sembrare i movimenti più grossi, schiaccia le altezze..). La velocità non è stata modificata mentre non sono riuscito a rinunciare ad una colonna sonora dedicata. Il percorso è stato eseguito realmente in una giornata, "buona la prima" salvo un' eccezzione (non perchè avessi sbagliato ma l'inclinazione della camera era sbagliata). La zona era nota ma i movimenti non sono stati studiati nel dettaglio.
Autovalutazione: 3/5

PS: dedicato al passato, presente e futuro del Paciana collective, BGs Team, VocalamityCheck Point Charlie, Bergamoreggae, chi dipinge, chi canta, chi balla e chi carezza il vinile, a tutta la Bergamo che spinge e resiste in ogni nuova forma che si possa pensare, se c'è la mente la sostanza rimane antica. Menzione speciale per Il Baro, un'ispirazione.

sabato 3 luglio 2010

Ogni tanto vorrei che il parkour fosse come il rap

  • Ogni tanto vorrei che il parkour fosse come il rap, vorrei che mi permettesse di esprimere chiaramente e direttamente i contenuti che mi stanno a cuore. Mi piacerebbe inserire nella mia tracciata un paio di rime sugli abusi dei preti o sul sessimo in televisione o sul razzismo della Lega. Vorrei che il mio parkour fosse riconosciuto "conscious" e che chiunque mi ascolti ed abbia voglia di capire, possa farlo, leggendo nero su bianco ciò che penso. Purtroppo il parkour non è questo, anzi. Trovo che la più vera espressione del parkour sia nell'intimità, quando mi muovo attraverso uno spazio proibito, da solo, la sera. Capite bene che 'sta roba non si presta molto nè a farsi strumento di comunicazione nè ad essere ripreso e condiviso. E' da viversi nel presente e basta, è estremamente impermanente.
  • Nei giorni scorsi un ragazzino è morto, è caduto dal tetto di una scuola; la cosa mi riempie di amarezza. Non ho assistito al linciaggio mediatico che si è consumato ai danni della mia disciplina, ho voltato lo sguardo, non ho avuto lo stomaco di ascoltare. Oggi, a distanza di qualche giorno, assisto alla reazione della "comunità di parkour di faccialibro". Io stesso non ho resistito a pubblicare il mio sfogo personale, insieme a decine di altri traceur e non. La cosa che mi ha indispettito è l'aver assistito alla nascita improvvisa di "eroi e paladini", protettori della sacra profondità dei valori del parkour. Sembra che di certi aspetti della disiplina ci si ricordi solo quando fa comodo.


Ora, che cosa c'entra la prima parte con la seconda, vi starete chiedendo.. Bene, eccovi accontentati. Dal momento che il parkour non è come il rap, per noi la veicolazione di un significato è una faccenda molto più delicata, fatta di immagini, parole ed azioni. Quello che dobbiamo fare tutti (prima di scrivere un bel pensierino su facebook) è sforzarci di produrre senso coerente, che sia su un blog o in un video, in una palestra o ad un allenamento. I valori vanno prima di tutto capiti, poi sentiti e poi veicolati. Non si può dire tutto e fare il contrario di tutto, nemmeno in questa italietta berlusconiana. I giornalisti spesso sono pressapochisti, ma molte volte li si lascia fare. Non possiamo permettere che una voce parli di essenzialità mentre si guarda un flip, altrimenti poi quando si parla di autodisciplina e ricerca prudente e costante, la gente starà ad aspettare il prossimo trick, fregandosene del resto. Tutto ci torna addosso, se le immagini di un video sono incoerenti con le parole della voce narrante, è esattamente come quando alle parole non si fanno seguire i fatti. A lungo andare si perde credibilità. Poi, quando la frittata è fatta, pestare i piedi serve a poco.

mercoledì 9 giugno 2010

Do e Jutsu nel Parkour


Quando chiedevo che mi venisse spiegata la differenza tra il judo e il jujutsu, il mio sensei usava portarmi la metafora della montagna. Cerco di ricordarmela e di scriverla.
Per il mio maestro l’arte marziale è come una montagna e il viaggio (la vita) ci conduce verso la vetta. Ma come una montagna vera, una faccia è rocciosa e l’altra collinare, un lato freddo, l’altro assolato. Quando ci si prepara all’ascensione, dal basso, è possibile avere una visione d’insieme e decidere come si vuole salire: per la via più rapida e diretta o per il sentiero più lento e dolce. E’ in questa fase che, di fatto, decidiamo quale è il nostro obiettivo: vogliamo godere del panorama e imparare qualcosa sulla flora e la fauna locale oppure preferiamo acquisire delle tecniche che ci permettano di arrivare in vetta anche nelle condizioni più avverse?

Ed eccoci al nocciolo della questione, jutsu significa metodo, tecnica, il suo obiettivo è esplicitamente funzionale. Dall’altra parte il fine del do, che significa via, sentiero, è quello di raggiungere un certo livello di introspezione, una profonda esperienza della realtà.
Nel Giappone del XIX secolo, con l’era dei samurai al tramonto, la cultura cambiò e la tecnologia rese obsolete, in un modo o nell’altro, le arti di combattimento tradizionali. La gente volle comunque continuare a praticare le arti marziali ma dovette spostare la propria attenzione: questa nuova generazione scelse come scopo principale l’auto-miglioramento e l’elevazione spirituale (vedi anche qui). Successivamente questo cambiamento di obiettivo si tradusse in una ristrutturazione, più o meno marcata, del bagaglio tecnico delle discipline che, di fatto, non avevano più come priorità l’efficacia.

Veniamo, finalmente, al Parkour. Ritengo che la nostra disciplina si trovi in una posizione privilegiata rispetto alle arti marziali giapponesi. Il jutsu del parkour, infatti, non consiste in una serie di tecniche per lussare le articolazioni o decapitare gli avversari, ma in un sistema generale per superare gli ostacoli dell’ambiente che si attraversa. E’ quindi evidente che il jutsu del parkour può essere applicato nella sua forma più utilitaristica senza che si debba venir meno ai propri principi etici (o senza incorrere in serie conseguenze legali). Praticare il jutsu significa, per me, tracciare dei percorsi in continuità da un punto di partenza ad uno di arrivo prestabiliti, facendo attenzione:
  • Ad applicare la giusta serie di movimenti (per non sprecare energia o tempo)
  • All’ armonia dei movimenti che si susseguono (perché dalla fluidità del susseguirsi delle tensioni muscolari deriva l’efficacia di una serie di movimenti)
  • Alla silenziosità degli impatti (perché “no sound, non shock”)
E il do? Beh, il lato più spirituale del parkour si trova nel superamento dei propri limiti mentali, nonché nel continuo rafforzamento della propria volontà di progredire. Lavorare sul do nel parkour, per me, è:
  • Portare a termine esercizi di condizionamento particolarmente faticosi (dal punto di vista fisico ma, soprattutto, da quello mentale) che mi prefiggo (per temprare la mia forza di volontà)
  • Eseguire singoli movimenti rischiosi, ovvero motoriamente difficili e potenzialmente pericolosi (per sviluppare concentrazione e lucidità nei momenti di stress)
  • Raffinare le tecniche (per rispondere a un senso estetico e funzionale)
E’ bene ricordare, comunque, che c’è una base comune alle due pratiche: il condizionamento fisico. Nè il justu nè il do hanno modo di esprimersi se il corpo non è pronto ad affrontare gli ostacoli. Per contro, ci sono alcune conseguenze specifiche delle due modalità di allenamento. Allenare il jutsu porta come conseguenza una maggiore adattabilità, un’alta capacità di improvvisazione nonché la possibilità di vedere la città come un tutt’uno ricco di possibilità e non come una serie di ambienti stagni e passaggi obbligati. D’altra parte, sviluppare il do affina la precisione ed il controllo e la possibilità di “sbloccare” passaggi ritenuti impensabili.

Ritorniamo per un attimo al Giappone: considerando il jutsu come modalità funzionale e il do legato più alla ragione per impegnarsi in combattimento, ci rendiamo conto che pochissimi riuscivano ad armonizzare le due componenti. Questi rari casi non giustificano la convinzione che questa fosse la norma o che, dal punto di vista storico, il jutsu fosse identico al do degli alti fini etici (Da Le antiche arti marziali, Ratti Westbrook).

La fortuna del Parkour è proprio qui: il do e il jutsu del parkour non sono così difficili da integrare come quelli nelle arti di combattimento giapponese. E’ possibile, per noi, sviluppare insieme le due cose: appoggiandoci al do per sviluppare e dare senso ad una tracciata e tracciando per uscire da una ricerca eccessivamente specialistica o estetizzante.

PS: in cantiere due video che cercano di chiarire ulteriormente l'argomento.

venerdì 28 maggio 2010

Idee e schemino

Rielaborando parte del materiale che ho accumulato durante le settimane in Inghilterra e aggiungendo vari pensieri emersi negli ultimi mesi di allenamento, è saltato fuori questo schema. Lo schema è "nato" in inglese e così l'ho lasciato, temendo di perdere qualche concetto nella traduzione. Il tentativo è, una volta ancora, di visualizzare il parkour come disciplina ampia, usando le immagini piuttosto che i paragrafi, cercando di trovare una sintesi esaustiva.
In questo schemino (fatto a mano libera perchè mi viene più spontateno, è più veloce e istintivo) penso al parkour come la via per diventari maestri dello spostamento (come recita il motto di pkgen, tra l'altro). Per me essere "maestri dello spostamento" è come essere una pietra in bilico sopra una piramide, a sua volta sostenuta da tre pilastri. Senza i pilastri non può esserci la piramide, se la piramide cresce in maniera disarmonica la pietra cade.
Per quanto riguarda i 3 pilastri del parkour, ho attinto a piene mani dal materiale fornitomi da ParkourUK e scritto dagli Yamakasi, dai Traceur di Lisses e dagli inglesi di PkGen. La piramide, invece, è una mia idea.

domenica 16 maggio 2010

Affiliazione

Giusto per tenere traccia degli eventi. Qualche giorno fa sono entrato a far parte della famiglia allargata del team di ParkourGenerations, Dan mi ha dato ufficialmente il benvenuto a bordo. :)
Sempre un paio di giorni fa è uscita la notizia sul sito dell'apki, eccola qui:

E' con estremo piacere che che a fronte di riorganizzazione ed evoluzione di apki che ci tengono molto impegnati, possiamo raccontare questo grande successo di Gato, alias Federico Mazzoleni, che porta per primo in Italia un riconoscimento importante e un nuovo forte stimolo per procedere sulla strada iniziata:

Ad aprile ha partecipato al corso tenuto da ParkourUK in collaborazione con Parkour Generations per il rilascio della certificazione ADAPT di livello uno. Il corso è durato quattro giorni, ricchi di lezioni teoriche, allenamenti, esami scritti e pratici.
Inoltre, durante la permanenza, ha anche avuto modo di completare il tirocinio: una serie di lezioni tenute dagli insegnanti di Parkour Generations, alle quali Gato ha partecipato più o meno attivamente in qualità di insegnante, con un accertamento finale rilasciato da un detentore di ADAPT di livello tre (nel caso specifico  Forrest).

Alla fine del tirocinio gli  è stato comunicato che, insieme alla certificazione di livello uno (che lo qualifica come assistente insegnante),  è stata concessa una deroga al livello due (ovvero hanno riconosciuto il livello due in cambio dell' impegno a sostenere il corso in futuro), il che rende Gato insegnante di parkour a tutti gli effetti.

Secondo le stesse parole di coloro che hanno elaborato la certificazione: "ricevere l'ADAPT significa ricevere l'approvazione all'insegnamento della disciplina del parkour/l'art du deplacement dai primi praticanti e insegnanti del mondo, compresi gli Yamakasi e i traceur di Lisses, il luogo di nascita del parkour." Grande onore!

Gato si dice molto felice e soddisfatto della sua parentesi Londinese di questo Aprile e a parte la nuvola malefica (o provvidenziale) del vulcano islandese, il resto, dice, è andato tutto liscio. In questi giorni, inoltre, è stato annoverato tra gli insegnanti affiliati di Parkour Generations, altro evento che contribuisce a renderlo ancora più esaltato dell'esperienza.

A tutti coloro che stanno seguendo con fatica e sincerità la strada del parkour che i fondatori ci hanno mostrato e che apki per prima in Italia ha spinto, vuole dire questo: "stiamo avanzando nella direzione giusta!

martedì 27 aprile 2010

ADAPT parte 2

Le mie settimane a Londra, oltre ad essere state piene di grossi allenamenti sono state cariche di discussioni, nuovi concetti e prospettive inesplorate. Vediamo qui di formalizzare un po' le nuove idee che mi son fatto.
  • Classi, corsi e palestre. Fermo restando che continuo a trovare inutile e pericoloso l'allenamento in palestra (ma per me stesso, non per gli altri, per ragioni che esulano il Parkour in senso stretto), ho interiorizzato parecchie idee di Parkour Generations, dopo lunghe conversazioni con Johann, Blane, Dan e Forrest. Il parto doloroso è questo: non possiamo pretendere che chiunque pratichi il Parkour, lo pratichi con la stessa profondità con cui lo pratichiamo noi; dobbiamo accontentarci di trasferire quel poco di buono che ogni praticante ha voglia di assimilare. A questo punto quindi, le classi, i corsi in palestra e pure le lezioni nelle scuole, mostrano un altro lato: il Parkour sarà un evento lieto, un modo per stare in forma e per migliorare il proprio controllo sul movimento nello spazio, una scusa per fare un po' di moto o anche solo un antidoto contro l'obesità per un bambino sovrappeso. Ebbene si, non tutti i praticanti di Parkour diventeranno dei traceur, ma ciò non vuole assolutamente dire che chi passa dai corsi non possa cominciare a vivere il Parkour come l'abbiamo vissuto noi.
  • Standardizzazione e certificazioni. Beh, su questo punto ero già abbastanza convinto. E' un bene che siano stati i ragazzi di Parkour Generations e della ADDA a porre i paletti e a far riconoscere le certificazioni. Sono più che mai convinto che sia l'unico modo per mantenere pura la disciplina, seppur con la possibilità di trasmetterla a vari livelli. E' come nelle arti marziali, nessuno nega che un karateka debba recarsi in giappone per avere l'esperienza più completa e vera della disciplina (ed è sicuro che debba aspettare il consenso di un maestro certificato prima di insegnare), ma un corso tenuto da un maestro italiano ben preparato (e certificato dai maestri giapponesi) può cambiare la vita di un ragazzino di 8 anni. Magari il ragazzino non sarà mai un gran karateka (oppure lo diventerà, andando a studiare in un vero dojo, seguendo le indicazioni del suo primo maestro che è un vero karateka), ma quanto bene gli potrà aver fatto? Credo molto.
  • Lavoro. Alcuni del collettivo Parkour Generations riescono a vivere di Parkour, trasmettendolo e continuando a crescere nel contempo. Posso assicurare che ho toccato con mano la difficoltà di questa vita: il lavoro, per quanto a Londra ce ne sia parecchio, non arricchisce nessuno, davvero. Forse che anche in Italia si possa sopravvivere in questa nocchia? Credo che proverò a scoprirlo.
  • Struttura dei corsi. Certo c'è da dire che il tipo di insegnamento che portano avanti PkGen e ADDA è ben diverso dai corsi di "parkour" in palestra che si vedono in rete. Posso assicurare che la qualità non si è abbassata e che non si fanno "le cose che i bimbiminchia hanno voglia di fare così c'è più mercato". C'è una rigida deontologia professionale.
Nessuno, di certo non io, si sogna di affermare che per diventare un traceur c'è bisogno di seguire un corso. Ma quanti di noi sarebbero ciò che sono senza il loro primo workshop di parkour? Quanti di noi hanno desiderato spesso di avere un mentore? E quanti si sono accorti di quanto più efficaciemente si impara seguendo un esempio? Il punto centrale è: chi ha tenuto quel primo workshop? Chi era l'esempio che abbiamo seguito? Noi abbiamo avuto la fortuna di conoscere i fondatori, ma cosa succederà quando loro non avranno più il tempo o la voglia di continuare l'opera? Lasceremo morire il Parkour? O chiederemo loro il permesso di portarlo avanti?

lunedì 26 aprile 2010

ADAPT parte 1

Cercherò di sintetizzare un poco il mio viaggetto a Londra di quasta primavera. In questa prima parte riporterò i fatti, sotto forma di diario, che mi hanno visto coinvolto. Nella seconda parte mi lascerò andare un po' alle analisi e ai pensieri. Comunque grazie Eyjafjallajokullu ;)

  • 10 aprile: Arrivo a Brixton (periferia sud di londra, ghetto jamaicano) nella PkGen House (la casa dove vivono Alli, James e Blane) giusto in tempo per mollare lo zaino e schizzare fuori ad allenarmi nello spottone di Elephant&Castle con Alli. Carbonara serale.
  • 11 aprile: Io e James prendiamo un bus e ci dirigiamo a Leicester, per una jam chiamata da Blane (è la sua città natale). Arrivati sul posto incontro parecchi traceur locali e londinesi, tra i quali Dom, Blane, Shirley e Alli. Intensa giornata di allenamento dalla mattina alla sera. Al ritorno fermata all'"All you can eat" e sessione di "foam rolling".
  • 12 aprile: Visita d'obbligo al Natural History Museum di Londra, stupendo. Allenamento serale (nonchè prima lezione di tirocinio per me) con la classe indoor al Morberly Sport Center con Dan e Forrest.
  • 13 aprile: Primo giorno di corso. Mattina, norme di sicurezza per i minorenni; pomeriggio, prontosoccorso. Finite le lezioni io, Alli e qualche altro "Adattante" siamo andati a farci un bell'allenamento a Latimer Rd., spot natale di Alli. Subito dopo seconda lezione di tirocinio alla classe indoor di Westminster tenuta da Chris, Dan, Dom e Alli. Stanchissimo assumo del porridge.
  • 14 aprile: Secondo giorno di corso con Johann e Dom. Mattina, condizionamento; pomeriggio, tecnica. In serata lezione di tirocinio con la classe outdoor a Vauxhall con Blane e Forrest.
  • 15 aprile: Terzo giorno di corso con Dan e Forrest, tema della giornata il coaching e la gestione della classe, time management, team building e altre cose del genere. Studio e compiti per il corso e, in serata, lezione indoor con Andy al Morberly.
  • 16 aprile: Esami con Dan, Johanne, Chris, Blane e Dom. Test scritto, planning di una lezione tipo e prova pratica. In serata classe outdoor a Elephant&Castle con Dan e Dom. Filmetto e relax con Blane.
  • 17 aprile: Pulizia della cucina della PkGen House, faceva vomitare ;). Più tardi allenamento a Vauxhall con James, Alli e Blane e visita agli spottoni di Southbank. Pinte di birra al pub.
  • 18 aprile: Bacon and eggs e allenamentone al Week-end Wake-up con James e Andy. Più tardi secondo allenamentone della giornata ad Archway con Dom e Alli.
  • 19 aprile: Un po' di relax alla mattina. La sera lezione indoor all'"Accademia di Blane" con Alli, James e Blane, ovviamente.
  • 20 aprile: Allenamento notturno stealth a Elephant&Castle con Blane e Shirley, poi sushi e filmetto. Abbiamo salvato un nano da giardino di nome Met.
  • 21 aprile: Lezione con i bambini della scuola di Pimlico con Blane e James, molto formativa. In serata classe outdoor a Latimer Rd. sempre con James e Blane. Era la mia nona lezione e ho ricevuto il primo Assessment. Serata a casa con gli inquilini e Chris e Brian.
  • 22 aprile: Salto un allenamento al Kilburn Park, sono devastato. In serata classe indoor al Morberly con Andy e Forrest. La mia decima lezione e il mio secondo Assessment. Ufficiosa consegna dell'"ADAPT 1.5" da parte di Forrest. Nottata passata con James e Alli alla ricerca di un ristorante jamaicano, alla fine beviamo un tè a casa.
  • 23 aprile: ritorno in Italia senza inconvenienti a parte la nostalgia per la PkGen House.

    venerdì 9 aprile 2010

    ADAPT London

    Beh, sono un po' emozionato, le cose sono avvenute in una finestra temporale ridotta, neanche mi sono accorto e domani sono già a Londra. Avendo risparmiato di pubblicare i miei pensieri mistico-scientisti del viaggio in Asia, prometto una trattazione dettagliata della mia esperienza londinese. 
    Intanto posso dire che gli "esami" per questa prima sessione dell'"ADAPT Instructor Qualification Course" si svolgeranno tra martedì 13 e venerdì 16, i candidati sono 16 e sarò l'unico italiano. Altro non so.

    Purtroppo Londra è una delle città più care al mondo e prevedo di spendere quasi quanto ho speso in un mese in asia.. Fortunatamente sono riuscito a trovare ospitalità presso un gentile traceur anonimo (;)) che vive a Londra e questo mi aiuterà ad abbatere notevolmente i costi (oltre che a godere maggiormente della vita sociale di PkGen, o almeno spero!). Inoltre dovrò viaggiare con uno zaino pieno di vestiti che prevedo di inzuppare di sudore e sangue (ma niente lacrime..). Spero di potermi concedere almeno una visita al London Natural History Museum, sarebbe un peccato imperdonabile perderselo.


    Dalla volta di luce all'ora che tramonta il sole,
    la voce degli uccelli si confonde con l'altra, del torrente.
    La verde via del ruscello volge alla lontananza;
    gioia della solitudine, avrai tu mai fine?

    WangWei e P'eiTi

    Londra porta nuove prove.

    sabato 3 aprile 2010

    Scheletro di un allenamento

    A gennaio mi annoiavo, così ho deciso di fare un videino. Speravo di riuscire a coordinarmi con altri Traceur per farne uscire 4 o 5 a distanza ravvicinata ma gli impegni sembrano attanagliare chiunque, così ho deciso di uploadarlo lo stesso, visto che ormai l'avevo fatto. Senza pretese di essere esaustivo, è un esempio di allenamento. Ho cercato di non concentrarmi troppo sulla perfezione dei movimenti anche per chiarire quanto sia lunga la ricerca, ho dato poco spazio alla tecnica perchè quella si trova in qualsiasi altro video. Spero che possa essere utile ai novizi come un canovaccio su cui aggiustare i propri esercizi.

    Due cose:
    • Il set di esercizi che mostro non è completo: soprattutto le gambe non vengono allenate con cura.. ancora una volta ripeto, non prendete questo video come una tabella di allenamento completa. Ma, in effetti, è così che mi alleno io: pur esercitando un po' tutto in ogni sessione, mi concentro un giorno sulle gambe e quello successivo su braccia e tronco, ad esempio.
    • Molti degli esercizi che si possono fare non vengono mostrati per svariati motivi, primo tra i quali che non riesco a fare tutti gli esercizi che conosco in una sola sessione di allenamento.
    • Quelle che chiamo flessioni si chiamano, più correttamente, piegamenti. Scusate l'inesattezza (e scusate tutte le altre che troverete ;)).


      venerdì 26 marzo 2010

      Rieccomi in italia

      Bene, sono tornato. Purtroppo non intendo scrivere un resoconto del mio viaggio, sarebbe troppo personale (veramente) e troppo lungo (ho scritto circa 200 pagine di diario). Dico solo che non ho allenato il corpo in maniera specifica per circa 50 giorni e ne risente (vista anche una dieta poco calorica). Comunque ne esco decisamente arricchito, risoluto anche nel procedere con lo studio del parkour. E non è poco.
      Sono molto contento di vedere che le cose si muovono un poco anche nella nostra vecchia e svogliata italia, eventi, iniziative.

      Inoltre sono veramente orgoglioso di leggere questa news da sito di pkgen.. Questo è esattamente il tipo di gratificazione che dovrebbe far piacere a tutti noi che abbiamo abbracciato il parkour con una certa impostazione e un preciso metodo di allenamento. Anche i monaci del tempio di Shaolin a Londra riconoscono che il parkour è una disciplina, se portata avanti come abbiamo imparato a fare. In barba a chi lo crede un gioco e lo pratica con poca serietà, per poi sorprendersi se viene criticato.

      Ora esco ad allenarmi, ho tanto da fare.

      martedì 16 marzo 2010

      Intervista virtuale

      In questi giorni e` uscito un articolo, frutto di un intervista sul parkour. L' articolo e` stato pubblicato in diverse lingue sul magazine online europeo cafe`babel: un nuovo tipo di media, in sei lingue, fondato sul giornalismo partecipativo.
      L' intervista mi e` stata fatta via mail mentre ero in Laos (nei momenti in cui riuscivo a trovare una connessione stabile..) e riguarda il parkour (o quanto meno il mio punto di vista sulla disciplina) ed altri aspetti collegati.

      Ecco l'articolo..

      sabato 20 febbraio 2010

      Palestra e desiderio

      Diventare più forti non significa solo affrontare e sconfiggere alcune paure ma anche resistere alle prorprie debolezze, abbandonare alcuni desideri.
      La palestra, dal mio punto di vista, rappresenta la brama di diventare più bravo più rapidamente. Solo in palestra si raggiungono certi livelli e solo con l'attrezzatura giusta si possono imparare alcuni movimenti. La palestra è come lo specchio per un narciso, il suo tesoro e la sua dannazione. Si rischia di scambiare il mezzo per il fine: il parkour è il mezzo per diventare forti e maestri dello spostamento (il fine), viceversa mi sembra che la palestra sia il mezzo per diventare bravi nel parkour (il fine). Ma quest'ultimo è un desiderio che mi sono impegnato ad abbandonare (per quanto mi sia possibile).
      Ecco perchè non mi è mai andata a genio l'idea di allenarmi in palestra, tuttavia posso capire che questo tipo di ambiente sia funzionale all'approccio degli studenti più in difficoltà.

      Basta, tutto qui.. solo un pensiero fugace che mi piaceva ancorare.

      lunedì 1 febbraio 2010

      Pianificazione della tracciata

      Per prima cosa mi sono comprato delle guide del posto (routard e lonely planet) per una bella infarinatura.
      Durante la pianificazione mi sono documentato sui biomi, sulla fauna e la flora locali (almeno un minimo) e sugli animali pericolosi. Ho controllato il clima e le precipitazioni nel periodo di interesse. Inoltre ho deciso il budget e pianificato il suo trasporto: cintura con zip, marsupio da collo e pennarello con vano segreto, uniti ad una carta prepagata postepay. 
      Molto importante sono anche i medicinali e le varie vaccinazioni (ho fatto un richiamo del tetano, ho fatto l'anti epatite A e l'anti tifica, ero già coperto contro la polio, la difterite e l'epatite B) e  ho comprato 3 scatole di Malarone (alla modica cifra di 170 €) per quando sarò nelle foreste del Laos (c'è un ceppo particolarmente infido di malaria).
      Sarebbe stato carino se avessi studiato un po' di lingua locale, ma non ho avuto la minima voglia, mi affiderò all'inglese. Importantissimo, invece, conoscere almeno la storia contemporanea e la situazione socio-politica e religiosa dei paesi che si visitano e quali sono gli usi e costumi che si discostano dai nostri (per non fare cazzate, insomma).
      Ho controllato che i documenti fossero validi (ho rifatto il passaporto) e me ne sono inviato una scansione via e-mail, così da averne sempre una copia pronta. I visti, per questi paesi, si fanno direttamente al confine.
      Per la prenotazione del volo mi sono affidato al padre di un amico che ha un'agenzia viaggi: loro trovano offerte decisamente più vantaggiose. Ho fatto un biglietto aperto per 3 mesi (circa 600 €),  quindi parto il 13 febbraio e posso fissare il rientro fino al 13 maggio.
      Ecco il piano del mio viaggio, in linea di massima.. Ancora non so se scenderò in Cambogia dal Laos o dalla Thailandia, si vedrà più avanti. Comunque mi aspetto numerose variazioni circostanziali..

      giovedì 28 gennaio 2010

      Kit di sopravvivenza

      Beh, visto che sto per partire per un bel viaggetto attraverso remoti paesaggi giungleschi, ho pensato bene di scrivere un po' a proposito del parkour su lunghe distanze o parkour planetario.
      Questo tipo di spostamento potrebbe rientrare nel gruppo "lunghe distanze/esplorazione" (dal post sull'utilità): le cose più importanti sono, quindi, la pianificazione, la tecnica di sopravvivenza e l'intelligeza sociale.
      Senza tediarvi troppo con la concettualizzazione, passo alle questioni pratiche. Il kit di sopravvivenza. Avevo già accennato all'importanza di quest'oggetto, ed in questi mesi ho progettato e realizzato il mio personalissimo kit. Ricordate comunque che io non sono un medico e, sebbene mi sia fatto consigliare da medici esperti e viaggiatori di professione, tutto ciò che leggete io lo sperimento sulla mia pelle a mio rischio e pericolo.



      1. Provetta di plastica (ad Amsterdam conteneva uno spinello :)) contenete 3 chiodi da 6 cm e una lama da taglierino (ci si possono costruire un arpione, inneschi per trappole, ripari.. la lametta può servire per il pronto soccorso)
      2. Kit di ami da pesca con ami di diverse grandezze e una bella matassina di filo di nylon resistente
      3. Betadine per potabilizzare l'acqua (in boccetta da collirio), 4 gocce per L di H20 limpida, lasciar decantare mezz'ora, oppure 8 gocce per L di H20 torbida, decantare per 1 ora. Inoltre ci si disinfettano le ferite (in viaggio è molto più importante disinfettarsi che quando ci si allena sotto casa)
      4. Matita, si sa mai che si vuol scrivere una poesia.. emergenza!
      5. Kit cucito con aghi di diverse grandezze, spille da balia e una matassa di una decina di metri di robustissimo e sottilissimo filo di nylon
      6. Silica Gel, per assorbire l'umidità nella scatoletta
      7. Filo elasticizzato per stendere il bucato con mollettine
      8. Tubetto di gomma, per bere da un buchino
      9. Bustina impermeabile con un foglio di carta, garze sterili e un cerotto formato famiglia
      10. Elastico per capelli
      11. Fischietto
      12. Bussola
      13. Tanica di emergenza (un sacchetto di plastica da inserire nel tappo tagliato di una bottiglia di plastica, con elastico per fissarlo)
      14. Kit fuoco (sempre dentro una di quelle provette di plastica di Amsterdam): candelina, fiammiferi antivento e antiacqua.
      15. Superficie riflettente per segnalazioni
      16. Medicinali con indicazioni sintetizzate e plastificate: Formistin (antistaminico), Dissenten (diarrea), Tachipirina (febbre, influenza) e Azitromicina (un antibiotico ad ampio spettro per le emergenze)
      17. Scatola pronta per il viaggio, confronto per dimensioni con occhiali per il cinema 3d (ho visto Avatar)

      lunedì 18 gennaio 2010

      Antica sostanza per nuove forme

      Questo video ha partecipato alla rassegna Walls and Borders, all'interno del Festival del Cinema di Torino 2009 ed è stato realizzato da una collaborazione tra Andrea Zambelli, Andrea Salimbene e me.
      Il corto non si pone come obiettivo quello di rappresentare il Parkour nel suo svolgimento motorio. Piuttosto il tentativo è stato quello di mostrare, attraverso una sorta di percorso metaforico,  la tensione verso l'automiglioramento, la crescita personale ed il superamento degli ostacoli. Ciò che rende il parkour una disciplina.
      Il montaggio e la regia hanno quindi privilegiato il trasporto emotivo e l'estetica a discapito dell'obiettività che a me sta tanto a cuore.. questo video è quindi totalmente al di fuori delle mie norme sull'etica nei video di parkour. Spero che non me ne vogliate e che possiate capire come, nella realizzazione di un video con questo particolare e arduo intento, io abbia dovuto trovare delle mediazioni.
      La scelta di utilizzare l'Hagakure di Tsunemoto non è stata casuale, questo testo è sempre stato per me fonte di ispirazione e per la sua natura sintetica ed epigrafica si prestava perfettamente allo scopo. Dalla scelta del testo al titolo: per quanto possa cambiare la forma del contenitore, la sua utilità rimane nel fatto che è vuoto.
      Buona visione.

      http://www.youtube.com/watch?v=p3NIgzO0in8


      lunedì 11 gennaio 2010

      Feticismo, consumismo, utilitarismo e le scarpe

      Ci sono differenti modi di vederla, la "questione scarpe". In generale ci si divide in due fronde, quelli tecnici e quelli minimalisti. I tecnici investono in scarpe che abbiano un buon grip, una buona capacità ammortizzante e un po' di stile (che non guasta mai) mentre i minimalisti argomentano che la scarpa da parkour deve costare poco ed essere solo una protezione per il piede (che, in realtà, dovrebbe essere nudo). Generalmente i minimalisti optano per le kalenji (Decathlon), alcuni più per moda che per una scelta di campo; i tecnici invece spaziano dalle Airake (K-swiss) alle ultime Mizuno da corsa, alle Salomon, sempre alla ricerca delle migliori prestazioni.

      Lo ammetto, io sono un tecnico. Però ho delle buone argomentazioni, concedetemi il beneficio del dubbio.

      La mia concezione del parkour è quella di una disciplina ampia, sempre in allenamento. Cerco di praticarlo d'appertutto, con tutte le condizioni meterologiche, provo dei movimenti anche quando sto andando al bar (o, più complesso, quando sto tornando). Quindi il mio approccio, in questo frangente, si scontra con una visione più frammentata tipo "mercoledì e venerdì parkour dalle 16 alle 18". Ecco, quindi, che la "scarpa da parkour" diviene un concetto un po' vago dal momento che cerco di avere ai piedi, sempre, delle scarpe che possano essere efficienti in un ampio spettro di situazioni (che non so quando potrebbero verificarsi). Non posso quindi affidarmi ad una scelta minimalista che ridurrebbe il campo di utilizzo al solo evento parkour. Così la mia scelta ricade, almeno ultimamente, su scarpe da trail running che si adattano a quasi qualsiasi situazione, dalla neve alla spiaggia, dalla serata sballona all'esame universitario. Per quanto riguarda i tecnici che si prendono delle buone scarpe da running, dico buona scelta ma possibile poca aderenza se si esce dalla città. Per quanto riguarda i tecnici che prendono le Airake (o altre scarpe esepressamente da parkour), dico molto male: benino sull'asfalto, molto male fuori.

      Ora, per chi è interessato, butto lì qualche info utile..
      • Tenere d'occhio questi siti: La Sportiva, Salomon, Asics, Adidas, Mizuno, Runners world. Soprattutto in Runners world trovate numerose recensioni delle scarpe da trail running. Consiglierei anche New Balance ma in Italia c'è poco mercato.
      • Date un'occhiata anche qui, anche se non condividiamo proprio la stessa visione.
      • Prendersi parecchio tempo per girare i vari negozi di sport o superstore e provare, provare e riprovare le scarpe.
      • Attenzione alla composizione della suola, niente inserti di plastica rigida.
      • Purtroppo ho scarse indicazioni su quali siano i migliori brevetti in fatto di suola ammortizzante, quindi fate le vostre prove.
      • Cercare un buon rapporto peso-qualità della suola
      • Tomaia forata per la traspirazione e gore-tex impermeabile.
      • Punta protettiva.
      • La scarpa vi deve piacere, sennò ci saltate male (rimandi alla questione dell'immagine corporea e prestazioni, psicologia dello sport).
      • Zompate sui saldi o sulle scarpe della stagione passata (risparmio anche del 30-50%).
      • Occhio a non prendere delle scarpe per pronatori se siete supinatori o viceversa (cosa cavolo è un pronatore? e supinatore?)


      ps: io mi sono appena preso le LaSportiva Wild Cat della stagione passata. Sto anche intraprendendo un eseprimento: ho preso la versione da donna (pianta più sottile) per vedere se, col tempo, si allargano meno di quelle da uomo. Farò sapere..

      sabato 2 gennaio 2010

      Utilità parte 2 di 2

      Entriamo più nel dettaglio ora, parlando dell'utilità durante lo spostamento propriamente detto.

      Come ho accennato nel post precedente, deve essere ben chiaro quale è il fine dello spostamento se si vuole ragionare in maniera precisa (quantomeno pertinente, via) sull'efficienza delle tecniche. Inoltre la tipologia di ambiente nel quale ci si sposta e il grado di conoscenza dello stesso, influenzeranno non poco la scelta dei movimenti.
      Ecco quali saranno i parametri (ovviamente ho dovuto schematizzare). Ambiente conosciuto o sconosciuto. Tipi di spostamento: inseguimento/fuga, spostamento rapido/medie distanze, lunghe distanze/esplorazione, spostamento furtivo. Gruppi di tecniche: Corsa/marcia, arrampicata/wallrun, salti orizzontali/di precisione, salti verticali/roll, tic-tac, vault.
      Rimangono escluse alcune tecniche come i cat, le planche, il turnvalut e l'equilibrio in quanto le considero facenti parte di altre tecniche (la planche, per esempio è solo la chiusura di un wallrun, così come il turnvault è l'attacco di un salto verticale). Altre escluse sono il nuoto (!?) e il laché, per la loro trattazione ostica.

      Grado di conoscenza dell'ambiente
      1. ambiente sconosciuto*spostamento rapido: le combinazioni come vault+cat, vault+precision diventano inutilizzabili, in quanto non si ha il tempo di calcolare le distanze. Un insapettato aiuto lo riceviamo, in città, da alcune standardizzazioni.. Infatti la distanza tra due corrimano in generale è uguale a Milano come in Ungheria, cosa che può tornare utile. Diventa fondamentale la rapidità di calcolo e l'applicazione dei nostri limiti ai vari problemi.
      2. ambiente conosciuto: nel proprio ambiente si può azzardare di tutto, tentando di confondere l'inseguitore in una situazione di fuga o sprecando parecchia energia in un vault che sappiamo essere particolarmente utile in una situazione di spostamento spedito.
      Tipo di spostamento
      1. fuga/inseguimento: grande utilità possono avere movimenti di virata rapida come i tic-tac. In generale quando si scappa o si insegue l'unica cosa che conta è la velocità, a discapito totale della resistenza, quindi saranno molto utili anche i vault. Probabilmente lo spostamento durante una fuga è l'espressione più alta del parkour, tutte le tecniche sono applicabili e possono fare la differenza.
      2. spostamento rapido/medie distanze: qui, al contrario, movimenti come i vault e i tic-tac, diventano controproducenti (date una leggiucchiata qui, se non ci credete ;)) mentre i salti e i wallrun possono tornare molto utili, facendoci risparmiare sforzi maggiori.
      3. lunghe distanze/esplorazione: a questo livello la tecnica cessa di essere importante e diventano molto più utili altre qualità come il senso dell'orientamento, le capacità di sopravvivenza, la propria intelligenza sociale e la pianificazione (credo che scriverò un post interamente dedicato al parkour trans-continentale nei prossimi mesi)
      4. spostamento furtivo: in questa tipologia di spostamento non conta molto la portata delle tecniche (quanto lontano salto) quanto, piuttosto, la padronanza delle stesse: diventa importante eseguire ogni tecnica con il massimo controllo per essere silenziosi. Tuttavia sarà soprattutto la capacità di visualizzare dei percorsi nascosti o inusuali ad essere importante.
      Tipo di ambiente
      1. ambiente naturale: teniamo presente che praticamente non esistono piani ortogonali, quindi tutte le tecniche di precisione perdono importanza in favore di una certa elasticità. In realtà tutti i "confini" delle tecniche sfumano. Ovviamente gli ambienti naturali sono i più disparati, conseguentemente la scelta tecnica sarà diversa: dalla parete rocciosa alla giungla.
      2. ambiente urbano: consente un approccio più schematico, l'applicazione di tecniche a determinate situazioni.

        Rileggendo il tutto mi sembra una massa caotica di informazioni pressapochiste.. non molto meglio di tutte le altre volte che si è parlato di efficienza nel parkour. Spero si apprezzi il tentativo di entrare un po' nel dettaglio. L'obiettivo rimane quello di promuovere la riflessione, certo non di svelare qualcosa.