Introduzione: Parkour tra realtà e artificio
La
spontaneità è una posa difficilissima da mantenere.
(Anonimo)
(Anonimo)
Il parkour nasce come sistema per prepararsi a
superare qualsiasi ostacolo nel mondo reale, sia esso un salto tra due palazzi,
il superamento di una panchina nel parco o arrampicarsi giù per la parete di
una casa in fiamme. Per questo motivo la pratica del parkour è un allenamento
“ad obiettivo” che è funzionale, olistico e richiede continuo adattamento e
applicazione da parte del praticante. Oltre a questo, l’arte dello spostamento
offre un modo per utilizzare gli spazi pubblici in maniera creativa ed alternativa,
per esprimere un modo di essere in relazione con lo spazio che ci circonda.
Anche nel parkour, tuttavia, abbiamo diversi gradi di
“applicazione reale”. Ad esempio: prima imparo un volteggio su un materassone
in palestra, poi uso lo stesso movimento al parco su di un tavolo da picnic ed
infine divento capace di applicare quel movimento ad una situazione totalmente
reale come superare un ostacolo sconosciuto mentre fuggo da un cane da guardia.
In molti convengono con me nell’affermare che la pratica del parkour dovrebbe
renderci progressivamente più in grado di applicare le nostre abilità nel mondo
reale. Posso però assicurare che è difficile mettersi in situazioni che
richiedono la reale applicazione dell’allenamento svolto perchè è faticoso e
comporta un continuo conflitto con se stessi. Più facile è fermarsi e
continuare a migliorare le propria prestazione in ambiente controllato perdendo
di vista l’orientamento al reale.
Ninja Warrior (abbreviato NW) è un talent show, un
programma televisivo. Un gruppo di concorrenti si sfidano per arrivare alla
fine di un percorso ad ostacoli nel minor tempo possibile e senza cadere in
acqua. Essendo tutto predisposto e conforme a norme di sicurezza, possono
permettersi di trascurare cose che nel mondo reale sono importanti e viceversa.
Per esempio è importante arrivare in fondo (magari anche alla svelta) ma non è
importante non cadere (tanto sotto c’è l’acqua), è importante riuscire ad
arrivare sulla piazzola ma non come ci si arriva (tanto è imbottita di
gommapiuma), è importante imparare a resistere allo stress sociale della
telecamera mentre non è importante riuscire a vedere possibilità alternative al
percorso prestabilito.
Monument Crew (abbreviato MC) è una specie di reality
show in cui 6 atleti-attori vengono seguiti da una troupe mentre praticano (?)
nei pressi di famosi monumenti italiani. Ma non si tratta di un documentario.
La differenza tra un documentario ed un reality show è che il primo nasce per
descrivere e approfondire un fenomeno culturale cercando di ridurre al massimo
l’influenza dell’osservatore sul soggetto, il secondo è un programma di
intrattenimento che propone riprese dal vivo di situazioni reali o presunte
tali, della vita quotidiana di persone comuni. In MC ampio spazio viene
concesso alle dinamiche del gruppo e alla preparazione dei “trick” prima della
“run”. Obiettivo della puntata è quello di mettere in pratica la run sul
monumento designato, cercando di trovare un’applicazione semplice e finendo per
appiattire il fenomeno del parkour per renderlo comprensibile e comunicabile
senza troppa fatica.
In entrambi questi programmi, NW e MC, è evidente come
la motivazione alla pratica è prevalentemente sostenuta da fattori esterni
(ovvero si rinforza quando l’individuo ottiene un riconoscimento dall’esterno).
Al termine della performance di NW l’atleta viene gratificato da applausi, luci
colorate, una bella classifica sui tempi e il bacio della fidanzata (che i
registi stanno bene attenti a non perdersi). In MC il momento della suspense,
il pathos creato ad arte dai registi, la speranza di diventare famosi sono
probabilmente elementi importanti nel gratificare gli atleti che vi
partecipano.
L’artificiosità (intesa come non autenticità) e la
motivazione estrinseca, tipici dello spettacolo, sono proprio i due fattori che
allontanano gli spettatori da una comprensione autentica del Parkour.
La natura dello spettacolo: una metafora calzante
“Siamo tutti pronti ad abbattere una prigione, quando i cancelli stanno per
rinchiudersi su di noi. Ma che succede se non si odono grida d’angoscia? Chi è
disposto a prendere le armi contro un mare di divertimenti?
Da “Divertirsi da morire”, Postman 2003
Qualche anno fa ho visto uno show televisivo (ma allora si può fare anche
qualcosa di positivo con i media?) che ha solleticato la mia immaginazione per
gli anni successivi: Black Mirror. Tra le varie splendide puntate, ce n’è una
che si intitola “15 milioni di meriti” e che vi racconterò brevemente perchè trovo
che sia una metafora calzante di quello che vorrei spiegare. Sempre che non
vogliate guardarvela qui (Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=9Nl6PeTNA_4).
Bingham Madsen, per gli amici Bing, vive in un futuro distopico nel quale tutti devono pedalare su delle cyclette per poter dare
energia a ciò che li circonda e in cambio ottenere una valuta chiamata Merito.
Tutti indossano una tuta da ginnastica grigia e possiedono un avatar virtuale
che si può personalizzare con vestiti per pochi Meriti. In questo mondo le
persone sono costantemente circondate da schermi con programmi televisivi e
pubblicità e, se si tenta di chiudere gli occhi, un rumore fastidioso e un avviso
obbligano a tornare alla visione. Le persone dormono in cubicoli cosparsi
di schermi: spendendo dei Meriti è possibile saltare le pubblicità, e i Meriti
servono per qualsiasi servizio, dal dentifricio al cibo. Due tra i programmi
che vanno per la maggiore sono "Wraith Babes", una trasmissione
pornografica, e "Hot Shots", un seguitissimo talent show. Bing è
annoiato da questo tipo di società e passa le giornate nell'indifferenza
totale.
Guardando la puntata il mio pensiero va a due grandi
scrittori del secolo scorso, Orwell e Huxley, che hanno prospettato per noi un
futuro minaccioso. Mentre il primo (in “1984”) temeva l’avvento di un Grande
Fratello, un potere che opprime e controlla con la forza della tecnologia, il
secondo (in “Il mondo nuovo”) ci metteva in guardia da una dittatura
democratica che controlla i propri cittadini non attraverso le punizioni ma elargendo
i piaceri, scenario forse più attuale.
Altro grande saggio cui non posso non pensare è “La
società dello spettacolo” che Debord, intellettuale di formazione anarchica e
marxista, scrisse nel 1967. Emanuele Isidori lo riprende nel suo
articolo dal titolo “la comunicazione spettacolarizzata: una
riflessione pedagogica tra Debord e YouTube”, ci offre numerosi spunti di
riflessione.
Nella società prefigurata da Debord una comunicazione,
resa perenne spettacolo, è così pervasiva da influenzare tutti gli ambiti della
vita umana, dalla famiglia e al lavoro, dai sentimenti alle aspirazioni.
Tutto questo ha inizio quando la produzione
industriale smette di realizzare prodotti “autentici” (il cui valore dipende
dal lavoro necessario per realizzarlo e/o dalle materie prime utilizzate) per
concentrarsi su prodotti il cui valore è definito sulla base di come essi
appaiono. La volontà del cliente è che il prodotto contribuisca,
principalmente, allo spettacolo della sua vita. Si pensi, ad esempio, a come il
valore commerciale di un prodotto possa variare in base a design o brand.
Nella società dello spettacolo, tutto viene realizzato
e vissuto solo in funzione di come verrà percepito dagli altri
soggetti-spettatori. L’uomo contemporaneo cessa di valere per quello che “è” ed
inizia a valere per come “appare”. Anche i valori, una volta permanenti e
duraturi, diventano instabili e vengono adattati ad un sistema di apparenze
indefinito e mobile. Questa spettacolarità lo getta in uno stato di perenne
crisi di identità che rasenta l’incapacità di vivere un’esistenza autentica –
sia individualmente che socialmente – e spiritualmente profonda, perché sempre
banalizzata e resa superficiale dalla prostrazione alla “deità” dell’apparenza
(Menduni, Nencioni & Pannozzo, 2011 in Isidori 2015).
Queste dinamiche sono sotto gli occhi di tutti noi
oggi, ma si vedono molto bene nella visione amplificata diretta da Euros Lyn
nella puntata di Black Mirror che continua così.
In bagno Bing origlia Abi, una donna la cui voce trova
bellissima, mentre canta una vecchia canzone forse ormai dimenticata: lo stile
è completamente diverso dalle canzoni pop proposte da Hot Shots. Lui la
incoraggia a partecipare al talent show, che offre alle persone la possibilità
di uscire da questa realtà simile alla schiavitù per raggiungere fama e
ricchezza. Abi, tuttavia, non ha abbastanza Meriti, inoltre ha la sensazione
che non riuscirebbe a cantare bene sotto pressione. Bing la persuade, convinto
che in quel mondo non ci sia nulla che valga la pena comprare, e acquista per
lei il biglietto, spendendo 15 milioni di Meriti. Lei accetta, e prima di
salire sul palco gli regala un origami di un pinguino, fatto da lei. Abi si
esibisce splendidamente, il pubblico virtuale è in visibilio.
Anche su questo si basa la società dello spettacolo,
il fatto che dà a tutti l’illusione della possibilità di diventare famosi. I
talent e i reality, sempre più pervasivi, non fanno che ricordarci che anche
noi potremmo essere lì in quel momento, a patto che improntiamo la nostra
esistenza sull’apparire costruendo e diffondendo un’immagine pubblica
facilmente spendibile. In linea con queste riflessioni l’industria
dell’intrattenimento rivolge le sue attenzioni al mondo dei giovani,
notoriamente buoni consumatori perché facilmente influenzabili. D’altra parte,
come si legge nel saggio di Isidori: “nei confronti dei giovani la società dello
spettacolo si comporta in modo ambiguo e contraddittorio. Infatti, se da una
parte propone il mito dell’adolescenza e della gioventù come punto di
riferimento della cultura di massa (Danesi, 2006), dall’altra “insidia” ed
“attacca” invece la cultura giovanile con una “guerra” che ha lo scopo di
privarla di qualsiasi capacità di giudizio per trasformare i giovani in passivi
fruitori e consumatori di beni e servizi prodotti dalle imprese commerciali per
finalità legate al mero profitto economico ed al guadagno (Giroux, 2000)”.
Nonostante la splendida performance canora di Abi
l’industria dell’intrattenimento, incarnata da tre giudici, sceglie per lei il
futuro che meglio risponde alle esigenze del mercato, il porno: “o questo o la
bicicletta”, “pensa agli spettatori, la maggior parte di loro farebbero tutto
per essere al tuo posto in questo momento”.
Il povero Bing aveva ingenuamente pensato che la voce di Abi, così reale in
un mondo contraffatto, avrebbe potuto liberarla dal mondo della normalità. Invece,
la qualità più genuina di Abi, la voce, siccome non facilmente vendibile è
stata sacrificata a vantaggio di scopi più lucrosi. Ora milioni di spettatori
guardano le pubblicità dello show pornografico di Abi immaginandola felice e
realizzata.
Quando una popolazione è distratta da cose
superficiali (meccanismo non certo recente, si pensi al “pane et circenses”),
quando la vita culturale è diventata un eterno circo di divertimenti, quando
ogni serio discorso pubblico si trasforma in un balbettio infantile, quando un
intero popolo si trasforma in spettatore e ogni pubblico affare in un varietà
televisivo, allora la nazione è in pericolo: la morte della cultura è
chiaramente una possibilità (Postman 2003).
Sembra che questa società dello spettacolo stia determinando
una regressione della cultura ridefinendo il rapporto di categorie opposte. La
forma diventa più importante della sostanza, la superficialità più interessante
della serietà, l’individualismo non è più bilanciato dalla solidarietà, la
gratificazione è immediata o non è. La ridefinizione dei valori è ora basata
sulla loro popolarità, sul gradimento della loro rappresentazione e sulla loro
capacità di essere mercificati.
Bing, dopo mesi di duro lavoro e preparazione, riesce
ad accedere al talent show. Dopo la sua finta performance attua il suo
sabotaggio: minacciando di uccidersi in diretta con una lama di vetro costringe
i giudici ad ascoltare il suo discorso critico:
«Io non ho preparato proprio nessun discorso, non ci
ho neanche provato. Volevo solo riuscire ad arrivare fin qui per farmi
ascoltare da voi. Per costringervi almeno una volta nella vostra vita ad
ascoltare davvero qualcuno invece di starvene lì a far finta di farlo. Vi
accomodate a quel tavolo, guardate verso questo palco e noi ci mettiamo subito
a ballare, a cantare, come dei pagliacci. Per voi non siamo delle persone,
voi non ci vedete come degli uomini quando siamo qui ma della merce.
E più siamo falsi e più vi piace perchè è la
falsità l’unico valore ormai, l’unica cosa che riusciamo a digerire..Anzi no!
Non l’unica, il dolore e la violenza: accettiamo anche quelli. Attacchiamo un
ciccione ad un palo e iniziamo a deriderlo perché crediamo sia giusto. Noi
siamo quelli ancora in sella e lui è quello che non ce l’ha fatta “ahah che
scemo!”. Siamo talmente immersi nella nostra disperazione che non ci
accorgiamo più di nulla. Passiamo la nostra vita a comprare cazzate. Tutto
quello che facciamo, i nostri discorsi, sono pieni di cazzate. “Insomma sapete
qual è il mio sogno? Il mio sogno più grande è comprare un cappello per il mio
avatar”: una cosa che neanche esiste! Desideriamo stronzate che neanche
esistono! E siamo stufi di farlo.
Dovreste darci voi qualcosa di reale ma non potete,
giusto? Perché ci ucciderebbe. Siamo talmente apatici che potremmo impazzire,
c’è un limite alla nostra capacità di meravigliarci. Ecco perchè fate a
pezzi qualunque cosa bella che vedete, e solo a quel punto la gonfiate, la impacchettate
e la fate passare attraverso una serie di stupidi filtri finchè di quella cosa
non rimane che un mucchio di inutili luci mentre noi pedaliamo,
giorno dopo l’altro, per andare dove?! Per alimentare cosa?! Delle celle
minuscole con dei piccoli schermi. E sempre più celle e sempre più schermi e
quindi fanculo!
Fanculo il vostro dannato spettacolo!
Fanculo! Fanculo voi che ve ne state lì e non fate nulla per cambiare le
cose! Fanculo le vostre telecamere e i vostri maledetti canali! E fanculo
tutti per aver trattato la cosa più cara che avevo come se non valesse nulla,
per averla afferrata e trasformata in un oggetto, in un giocattolo, l’ennesimo
orribile giocattolo in mezzo a milioni di altri! Fanculo! Fanculo a tutto
quanto! Fanculo per me, per noi, per tutto il mondo! Fanculo!»
Conclusione: cosa ci rimane?
Perché
la società dovrebbe sentirsi responsabile soltanto dell’educazione dei bambini,
e non dell’educazione degli adulti di ogni
età?
(Erich Fromm)
(Erich Fromm)
In primo luogo ci rimane tanto da fare, e non certo
una guerra al progresso. Le nuove tecnologie ci offrono (e ne offriranno sempre
più in futuro) nuovi strumenti per raggiungere più persone, per comunicare e
per educare: le frontiere dell’educazione si stanno spingendo verso un uso
sempre più massiccio della rete e della realtà aumentata come supporto per
nuove forme di apprendimento (si veda ad esempio Kirkley & Kirkley 2005).
Dal rilascio di PokemonGo, l’estate scorsa, sono stati scritti diversi articoli
(anche se è doveroso dire che di dati ce n’è pochi) in cui si sottolinea come
questo tipo di tecnologie abbia un potenziale impatto positivo nella promozione
dell’attività fisica, soprattutto in adolescenti e preadolescenti (si veda
Piercy & Vaux-Bjerke 2016).
Possiamo estendere questo tipo di osservazioni sulla
promozione dell’attività fisica a spettacoli televisivi come NW e MC? Forse,
almeno parzialmente. E occorre fare un’altra osservazione.
A proposito di codici culturali, ecco l'anteprima che NW ha usato sui social.. |
Oggi il
potere si esercita fondamentalmente a partire dalla produzione e diffusione dei
codici culturali, degli atteggiamenti e dei valori contenuti nelle informazioni
che vengono diffuse, più o meno tacitamente o subdolamente, dai media (McLaren,
Macrine & Hill, 2010 in Isidori 2015). Il problema risiede proprio qui, nei
codici culturali che vengono selezionati e rappresentati; abbiamo già cercato
di chiarire da chi e per quale motivo: ricordiamoci che NW e MC rimangono,
nella loro struttura di base, degli show il cui scopo è di spettacolarizzare
una merce per poterla vendere meglio.
In questi anni, tuttavia, abbiamo potuto apprezzare
anche fenomeni mediatici di altro tipo, questi decisamente positivi. Queste
iniziative hanno scopi radicalmente diversi e, guarda caso, si esprimono
attraverso forme radicalmente diverse. Una di queste iniziative è il progetto
di Julie Angel “See&Do” (www.see-do.com): lo scopo di questo progetto, come
si può leggere nel sito, è quello di normalizzare l’immagine della donna come
attrice in diverse attività outdoor come Parkour e Bouldering. See&Do
documenta coloro che già sono attivi/e nella speranza di creare opportunità perchè
altri/e possano provare. Il mezzo scelto è il social media e l’intento è
chiaro: contrastare stereotipi e passività, facendo leva sul senso critico e la
voglia di mettersi in gioco.
Proprio la passività e la mancanza di criticità
rimangono le maggiori sfide che l’educazione deve affrontare nell’era della
società dello spettacolo e della rete. Per Debord l’instaurazione della verità
nel mondo, non può essere attuata da individui che non sono collegati con la
storia e la civiltà collettiva, e neppure da esseri dicotomizzati e manipolati.
Queste persone, per modificare la loro realtà, devono essere in grado di
dialogare e di utilizzare il linguaggio come strumento di costruzione sociale
(Isidori 2015).
La stampa, che è stata il mezzo di comunicazione
principe delle età dello sviluppo della civiltà moderna, dell’affermazione
delle libertà civili, ha lasciato il posto alla televisione. Se
l’alfabetizzazione era garanzia e condizione necessaria alla partecipazione
ragionata al discorso pubblico, nell’epoca della tv questo si è ridotto ad una
forma di divertimento, ad una sequenza rapida e sfuggente di immagini che
appaiono e scompaiono sulla superficie di uno schermo lasciando subito il posto
ad altre figure, ad altre luci, ad altri colori (Buonocuore, postfazione a Divertirsi
da morire).
Nel corso della loro storia, gli sport moderni hanno
sviluppato regole sempre più dettagliate per definire i limiti di
partecipazione e accesso alla pratica sportiva. Queste regole riflettono il
disegno organizzativo dello sport moderno, fondato a beneficio dello
stato-nazione che lo finanzia e promuove fino alle Olimpiadi (http://ilmanifesto.info/lucrative-contraddizioni-dello-sport-moderno/). Ora
stiamo forse assistendo alla nascita degli sport post-moderni? Non è certo più
lo stato-nazione che influenza questi processi, ad essi si è sostituito il
mercato globale. Non sono più esigenze politiche quelle sui cui si plasmano gli
sport, oggi sono esigenze economiche; non si tratta più di regole dettagliate e
competizioni tra nazionali ma di rendere tutto spendibile. Ecco come la
spettacolarizzazione, in funzione del profitto, quando non crea dal nulla
(pensiamo allo slamball, per esempio), manipola movimenti, discipline e culture
per i suoi propri fini.
Cosa ci rimane? Ci rimane il diritto al dissenso, e la
presa di coscienza che per fare da contrappeso a una diffusione massificata e
superficiale serve un esercito di praticanti, educatori, insegnanti, cittadini
critici e liberi pensatori che lavorino sulla qualità e per approfondire.
Ognuno attraverso la propria disciplina e specializzazione sarà chiamato a
contrastare la passività, la superficialità e la paura di non diventare mai dei
campioni, di parkour come di qualsiasi altra cosa. Sarà dura ma dovremo far
capire a tutti che, alla fine, non è quello che importa.
Nota finale: il pericolo in agguato
Stavo per dimenticarmi la fine della puntata di Black
Mirror.
Dopo il drammatico discorso di Bing, i giudici,
inaspettatamente, lo applaudono e gli offrono la possibilità di entrare a far
parte dello show con una rubrica personale. Bing, dopo un’attesa carica di
tensione, accetta: ottiene così il potere di gridare le sue critiche agli
spettatori che lo guardano dalle cyclette. Si conclude così il processo della
spettacolarizzazione: fagocitando, spettacolarizzando ed in fine sterilizzando
le critiche stesse.
Nessuno, o quasi, è più in grado di disconnettersi
dalla società dello spettacolo. A tutti noi rimane solo la possibilità di
scegliere un compromesso, nella speranza di ottenere più di quello che si
perde.
Gato, ParkourWave
Principali fonti citate
- Isidori 2015, La comunicazione spettacolarizzata: una riflessione pedagogica tra
Debord e YouTube
- Debord 1967,
La società dello spettacolo
- Postman 2003,
Divertirsi da morire
- Huxley 1932,
Il mondo nuovo
- Orwell 1949,
1984
- Kirkley & Kirkley 2005, Creating next generation blended learning environments using mixed
reality, Video Games and Simulations
- Piercy &
Vaux-Bjerke 2016, Pokémon Go: A Game Changer for Kids’ Physical
Activity?
- Il Manifesto,
www.ilmanifesto.info
- Angel,
www.see&do.com
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